Luca De Biase
An Italian journalist writes about what's happening in his funny country:
a laboratory for the study of broken democracy and creative capitalism.
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Sabato, 17 novembre 2007
 

La rivolta non è la rivoluzione

La Casta. Grillo. Anno Zero. Report. La rabbia verso la Rai. Verso il governo. Verso l'opposizione. Verso Roma. Verso gli immigrati. La rabbia scomposta, giustificata. E' la rivolta.

La rivolta può non essere fisicamente violenta. In questi giorni, c'è una rivolta generalizzata contro il potere.

E' solo una rivolta e non una rivoluzione perché è scomposta. Perché non è condotta da un progetto. E' scomposta perché sottende richieste che possono apparire giuste in sé ma non tengono conto delle compatibilità dell'insieme. La rivolta contro le tasse, contro le discariche, contro la corruzione, contro l'incoerenza dei politici, contro l'avidità dei capitalisti, contro la mancanza di lungimiranza dei leader, contro la povertà dei programmi televisivi, contro la malasanità, contro la precarietà, contro il monopolio, contro i commercianti che hanno approfittato dell'euro, contro l'euro... Tutte istanze giustificate. Ma si può pensare di passare da una situazione sbagliata a una giusta senza tener conto della storia? La passione è una componente. L'altra è l'intelligenza.

Il potere resiste facendo il muro di gomma. A chi non vuole cambiare le cose basta non far nulla e aspettare che chi le vuole cambiare si stanchi.

I rivoltosi si stancano, perché non hanno una strategia che li sostenga nel lungo periodo.

La rivolta diventa rivoluzione, anche non violenta, anche storica, quando c'è una progettualità che le dia una strategia.

E questo vale anche per l'innovazione, che parte sempre da un atto di ribellione (come mi ha detto efficacemente un futurologo della Bt).

Si migliora il mondo arrabbiandosi un po' o tanto, ma poi pensando al progetto.

Credo che la riuscita di un vero progetto di società più decente sia una necessità. E allora arrabbiamoci e pensiamo. Le cose importanti, quelle che costruisco il progetto, possono essere anche noiose e profonde. Le compatibilità del bilancio pubblico si devono accettare come una priorità. La concorrenza, tanto feconda, va insieme con una certa precarizzazione. L'equilibrio ambientale va insieme con la ricerca di fonti alternative ma anche con la decisione sul trattamento dei rifiuti. Una società consumista non diventa verde con un atto di bacchetta magica. Le regole vanno cambiate, ma anche rispettate. L'evasione fiscale non è il modo giusto di protestare contro l'eccesso di tasse.

La strategia parte dalla consapevolezza che ci stiamo trasformando. Lasciamo l'epoca industriale ed entriamo nell'epoca della conoscenza. E' ovvio che siamo disorientati. E' necessario imparare. Pensare.

Gli eroi sono visionari che hanno sogni, progetti e li realizzano. Gli innovatori non sono soli, anche se si sentono tali. Si devono connettere. La rete, in fondo, serve a questo.


5:59:14 PM    comment [];

Wall Street Journal gratis

Si sapeva da un pezzo, come ripete The Economist di questa settimana, che la News Corp voleva cambiare il modello di business online del Wall Street Journal offrendo tutto il giornale gratuitamente. Ora ha tre milioni di utenti, gratuitamente ha un potenziale di dieci milioni, dicono. Quindi la pubblicità può generare più ricavi dell'abbonamento.

Ma qual è la prospettiva? Da qualche anno la pubblicità online cresce a due cifre percentuali. Mentre il resto continua ad andare pianissimo o indietro. Quindi è un vortice che attrae tutto. Ma questa crescita spasmodica probabilmente rallenterà. Quando? Quando la quota del budget pubblicitario che va in rete avrà raggiunto un equilibrio con la quota di tempo che la gente dedica alla rete. Più un tot per il maggiore valore del servizio che offre la pubblicità online (personalizzazione, legame con l'espressione esplicita di interesse, o addirittura con la vendita...). A un certo punto, comunque, è probabile che la crescita rallenti. E il vortice non sia più tale da assorbire ogni nuova iniziativa (o da tentare ogni vecchia iniziativa). E allora?

Allora, il lavoro professionale, anche quando si esprime in rete tenterà nuovamente di farsi pagare. Occorreranno veri e riconoscibili motivi per ottenere il pagamento. Ma occorrerà anche arrivare a quel momento con le idee chiare. Sperimentare fin da ora modelli di contenuti a pagamento non è sbagliato. Ma oggi, avrà ragione il Wall Street Journal che va gratis o il Financial Times che resta prevalentemente a pagamento? Secondo me, quello che oggi è online si può dare tutto gratis (specialmente se il concorrente lo fa). Intanto, occorre inventare quello che la gente avrà voglia di pagare. Tenendo conto anche del fatto che nel frattempo matura il pubblico attivo. I giornali, in particolare, si dovrebbero dotare di un dipartimento di ricerca e sviluppo. Imho.


2:58:57 PM    comment [];


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