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Domenica, 11 novembre 2007
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Siamo ciò che ci convinciamo di essere
Leggo - sull'Economist del 10 novembre - a proposito del revisionismo storico nella Russia di Vladimir Putin:
"L'atteggiamento nei confronti del passato è l'elemento centrale di ogni ideologia" ha scritto Yury Afanasyev, storico e liberal, sulla Novaya Gazeta. In effetti, in Russia le discussioni sulla storia spesso alimentano passioni più accese di quanto non avvenga per i dibattiti sul presente o sul futuro. Il destino della Russia dipende in larga misura dal modo in cui scriverà la propria storia. Per questo, il Kremlino ha deciso di intervenire: non può più permettersi di lasciare l'insegnamento della storia agli storici.
Non c'è paese al mondo nel quale questa questione non sia centrale. Ma in Italia tendiamo a pensare che si tratti di una faccenda vagamente ridicola. Sarà perché abbiamo avuto esempi di revisionismo storico da operetta nei primi tempi del fascismo e un eccesso di disastri sottolineati dalla simbologia dell'impero romano negli ultimi tempi del ventennio. Sarà perché nel Dopoguerra, quando si è trattato di costruire un paese democratico a sovranità limitata, cioè diviso tra due potenze straniere come gli Stati Uniti e il Vaticano, i manuali di storia sono sembrati spesso un terreno di competizione tra le culture dalle quali prendevano forza la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano: forse, ha prevalso la Dc nei primi decenni, per poi cedere al Pci dopo gli anni Sessanta, ma la strumentalità delle interpretazioni è stata troppo apparente per raggiungere una significativa credibilità. E poi, dagli anni Ottanta, la revisione televisiva e pubblicitaria dell'identità nazionale è sfociata nel revisionismo storico della nuova destra, da un lato, e, dall'altro, nell'ampolla con l'acqua del Po portata in giro da Umberto Bossi. Una nuova lettura della storia italiana, una nuova identità costruita in fretta e furia, una nuova picconata alla credibilità del modo in cui ci raccontiamo noi stessi.
Questi esempi solo per dire che l'Italia non è diversa dalla Russia, dalla Nigeria o dagli Stati Uniti: in tutti i paesi la storia costruisce identità e in tutti i paesi l'identità viene usata dall'ideologia e dalla politica. Il problema è che l'Italia non ci crede.
Temo che questa sia una delle ragioni delle sue grandi difficoltà attuali. Vorrei che trovassimo qualcosa in cui credere con fondamento. Penso che l'Italia sia un paese molto adatto all'epoca della rete: la sua storia è fatta di mercanti e città, di esploratori e immigrati millenari, di bellezza e intelligenza, di distretti industriali e piccoli inventori... L'industrializzazione ha favorito una grande crescita ma anche una forzata gerarchia nazionale televisiva e commerciale: ma ora è tempo di ripensare più profondamente la nostra identità, per andare nella nuova epoca con maggiore consapevolezza. Sarebbe un'occasione per rivedere la nostra storia non allo scopo di adattarla a un'ideologia di breve termine ma per stabilire una strategia condivisa di lungo termine.
9:52:30 AM
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2007
Luca De Biase.
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1-12-2007; 10:19:22.
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