Luca De Biase
An Italian journalist writes about what's happening in his funny country:
a laboratory for the study of broken democracy and creative capitalism.
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Sabato, 8 marzo 2008
 

Agenda. Nuovo capitolo: generazione di "consuetudini"
Grazie Ivo


Grazie a Ivo Quartiroli per il suo recente post. E' un vero passo avanti nella nostra ricerca che riguarda la consapevolezza dei partecipanti al medium orizzontale che stiamo costruendo e la sua conseguente, potenziale, capacità di incidere sull'agenda del paese. Ecco alcune conclusioni:

1. Occorre partire da quello che abbiamo in comune. Per Ivo: Il desiderio di trasmettere conoscenze con generosità. Una certa ricerca del vero, o comunque di un altro punto di vista rispetto a quello dei media mainstream e dei partiti, con fonti di prima mano.

2. Siamo strutturati in una rete e la sua forma è parte del messaggio e del metodo. Dice Ivo: "Quello che mi auguro abbiamo in comune è il non dare troppa importanza alle specificità di ognuno e il non creare delle contrapposizioni ideologiche, tentazioni fin troppo facili in Rete. Diversamente, non ne usciamo più e rimarremo seppelliti sotto ai distinguo e agli scontri. La sfida della Rete, a mio parere, è invece quella di andare oltre le identificazioni con le diverse opinioni. L'uso della Rete come medium, portato al suo estremo, ci suggerisce di andare al di là delle differenze di opinione, analogamente alla rotazione di tutti i colori che produce il bianco".

3. Questo però ci cambia. Siamo noi stessi e siamo nello stesso tempo parte di una rete che vive, insieme, indipendentemente da noi e grazie a noi. E' interessante scoprire quali sono le nostre motivazioni. Siamo chiusi in un "egosistema" o accettiamo di aprirci a un vero "ecosistema" delle idee? E se riusciremo, ci lasceremo tentare dal potere? "Se non mi pongo queste domande non potrò che agire in modo meccanico, basandomi sui miei condizionamenti di vita che hanno dato forma alle mie convinzioni e credenze, che credo essere mie. Questo non contribuirà alla crescita della mia consapevolezza e saggezza, ma solamente all'aumento della mia conoscenza, rendendomi un servomeccanismo della Rete. Se alterno l'attenzione dallo schermo a me stesso posso interagire con ciò che ho di fronte allo schermo facendolo passare da un livello più reale e profondo".

4. L'unica prospettiva coerente con quella della rete è la prospettiva lungimirante. "Altra cosa che spero ci accomuni è un[base ']attenzione che va al di là del quotidiano e dell'immediato, nonostante la natura stessa dei blog sia architettata in modo da privilegiare l'ultimissima novità e Internet stesso porta quasi strutturalmente ad un'attenzione frammentata. Gli aggregatori dovrebbero a mio parere andare nella direzione di dare una presenza temporale meno effimera agli articoli dei blogger, rappresentando una base che non si volatilizza dopo pochi giorni".

5. La molteplicità di aggregatori è consustanziale con la forma della rete, priva di centro per definizione. "I vari blog, siti ed aggregatori che fanno parte della Rete partecipativa sono tutti piccoli pezzi di un grande puzzle. Data la natura caotica della Rete non vi sarà mai un unico aggregatore che inciderà sulla politica. La trasformazione avverrà grazie alle innumeveroli piccole spinte dirette in direzioni innovative. Un link qui, un convegno là, un articolo su, un passaparola giù, un aggregatore al centro. Non è necessario organizzare troppo le cose, anzi, probabilmente sarà proprio il modo soft di interagire che avrà più efficacia, analogamente a un rimedio omeopatico che interviene sull'organismo in forma di messaggio invece che sopprimendo una funzione biologica".

Ottimo. Grazie ancora Ivo: rafforzati da questa collaborativa consapevolezza, possiamo forse fare un altro passo.

Ci sono argomenti sui quali le persone e le comunità sono perfertamente in grado di decidere senza bisogno di disturbare la politica. Settori specializzati della vita sociale. Settori specializzati della vita culturale. Momenti della vita quotidiana che impatta sull'ambiente. Aggregazioni ad assetto variabile per problemi specifici di una comunità possono essere in grado di discutere tutti i problemi di quella comunità e di proporre forme organiche di autoregolamentazione democratica e informata e partecipata, che la politica potrebbe alla lunga anche riconoscere ufficialmente, senza mai istituzionalizzarle.

Non so se mi sono spiegato: stiamo parlando dell'agenda politica e dei blog o dei network sociali. Abbiamo accennato a tante cose. Non abbiamo ancora trovato il modo di definire come alcune forme di aggregazione del sapere che emerge online per temi, o per località, o per comunità, potrebbero darsi un'organizzazione che contenga sia lo scambio di informazioni sia la produzione di un programma o addirittura di decisioni e autoregolamentazioni. Che alla fine la politica potrebbe riconoscere. Eppure è un'opportunità a portata di mano della gente che usa bene la rete: invece di aspettare la politica, si possono costrure metodi e piattaforme per la discussione di forme di autoregolamentazione da proporre poi già confezionate alla politica per farle entrare nelle consuetudini largamente accettate (che tra l'altro hanno già una loro validità giuridica in quanto fonti di diritto).

Sta già succedendo per alcuni aspetti della vita in rete. Potrebbe succedere anche per altri aspetti della vita sociale. Perché la rete digitale e quella fisica, fatalmente, convergeranno. Nella cultura che stiamo costruendo. Imho.

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11:44:14 PM    comment [];

Fiori di serra
Come germogliano i programmi sviluppati per l'iPhone

Mi pare che questa cosa non vada sottovalutata. Né da Nokia. Né da Google.


11:02:21 PM    comment [];

Giorgio Bocca e Bill Gates

Non è una correzione a Giorgio Bocca, non avrebbe senso.

Bocca parla di Bill Gates nell'Antitaliano sull'Espresso, definendolo "l'americano spilugone e dinoccolato". Il fatto è che Gates non è né l'uno né l'altro. Ma evidentemente c'è un immaginario vagante in questo paese che non può che trasformare un americano in "spilungone e dinoccolato".

Mi viene in mente Beniamino Placido, a Napoli, almeno dieci anni fa, che presentava Jim Clark, co-fondatore di Netscape, come "ragazzo giovanissimo" (aveva oltre 50 anni): evidentemente c'è un immaginario vagante in questo paese che quando pensa a un americano che fonda un'azienda lo vede necessariamente "ragazzo giovanissimo".

E' come se le persone di una certa età, in Italia, volessero costantemente rimarcare la differenza tra il loro paese e l'America, presentando quest'ultima come la terra degli spilungoni dinoccolati che fondano imprese gigantesche da giovanissimi. Certo, da questo punto di vista, a parte Gates e Clark, in generale non hanno tutti i torti. Ma io ho l'impressione che, sotto sotto, questa storia stia un po' cambiando.


6:07:42 PM    comment [];

Protezionismo

Il conservatore Giulio Tremonti non è il solo a suggerire politiche protezionistiche per rafforzare le economie dei paesi attaccati dalla concorrenza asiatica. Su Herald Tribune si legge il pezzo di Robert E. Lighthizer, che ha lavorato con Ronald Reagan alle politiche commerciali internazionali: i conservatori non sono per la libertà di commercio a tutti i costi, dice, sono per politiche che servano a costruire una forte economia nazionale.

Poco importa, evidentemente, ai protezionisti che i loro paesi partecipino a organizzazioni internazionali votate all'abbattimento delle barriere protezionistiche. L'interesse nazionale per loro viene prima di tutto. Ma l'interesse nazionale non è un concetto facile da definire.

Come abbiamo visto in una precedente discussione, qualche post addietro, non è facile definire che cosa sia un italiano. E non mi pare che molti blogger si sentano italiani. Qualcuno si riconosce di più in un'identità europea, qualche altro in un'idendità locale, altri ancora sembrano orientati al cosmopolitismo aperto. Ne deduco che per loro non sia neppure facile definire che cosa sia un'economia nazionale. E sono d'accordo.

Che cos'è un'economia nazionale? Le grandi variabili sono ovviamente internazionali (tassi, petrolio, cambi...). Le regole sono in gran parte condivise a livello internazionale. E per gli europei lo sono in modo stringente. Quindi per un protezionista italiano l'unica strada è pensare a un'economia nazionale europea.

L'Europa potrebbe decidere insieme di difendersi dalla concorrenza asiatica. Ma in questo modo dovrebbe rinunciare al basso prezzo dei prodotti che importa dall'Asia, dunque alimenterebbe l'inflazione, la combatterebbe con tassi ancora più alti e finirebbe per rallentare la propria crescita. Non è detto che l'Europa prenda questa strada, anzi è improbabile.

Dunque un protezionista italiano non può che agire in due direzioni: o combatte l'adesione italiana all'Europa o cerca di cambiare le politiche decise a livello europeo ma se non ci riesce le accetta. E bisogna ammettere che difficilmente un protezionista italiano potrà influire sulle politiche europee, mentre riuscirà a combattere l'Europa rallentandone l'integrazione (il che effettivamente viene fatto).

Il protezionismo può piacere a chi non ragiona molto sulle conseguenze generali delle politiche e guarda solo all'interesse immediato del suo ceto (per esempio gli imprenditori che hanno un mercato nazionale) o della sua classe (per esempio i lavoratori delle aziende che non riescono a migliorare la propria produttività per competere con i concorrenti internazionali). In ogni caso si tratta di forze economiche poco innovative e organizzate intorno a qualche privilegio locale. E' chiaro che nella competizione globale non tutti, anche con le migliori intenzioni, riescono a prevalere. Ma è anche chiaro che nella competizione globale le idee migliori vengono premiate. Mentre a livello locale, sono le alleanze e le amicizie tra potentati a costituire la risorsa più importante per prevalere anche dal punto di vista economico.

Non so quali siano le motivazioni di Tremonti. Di certo il suo ragionamento è legittimo. Ma può essere che lavori per costruire un consenso intorno a un'idea facile da sostenere, oppure che lavori in nome di potentati nazionali che non amano la competizione internazionale, o ancora che lavori per aiutare chi non apprezza l'integrazione europea, come gli americani. Di certo, quello che dice va preso seriamente in considerazione: per arrivare con più consapevolezza e umiltà cosmopolita a rifiutarlo.

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10:04:10 AM    comment [];


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