Luca De Biase
An Italian journalist writes about what's happening in his funny country:
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Venerdì, 2 febbraio 2007
 

Un dubbio su Telecom Italia Media

Ne parlavo con un amico. Mi ricordava che Telecom Italia Media ha registrato nei primi nove mesi del 2006 circa 78 milioni di perdite, fatturando 136 milioni, che ha 100 milioni di euro di capitale e 102,9 milioni di debiti finanziari. Aspettiamo il bilancio annuale. Sappiamo che il codice civile prevede che quando le perdite superano una certa soglia rispetto al capitale scatta l'obbligo di azzerare il capitale e ricapitalizzare. Bah. Sono comunque andato a vedere la relazione del terzo trimestre 2006. Mi ha fatto pensare in particolare un passaggio. Questo:
L'indebitamento finanziario netto  al 30 settembre 2006 è pari a euro 102,9 milioni  rispetto ad una disponibilità di euro 436,1 milioni al 31 dicembre 2005, con un aumento di euro 539,0 milioni principalmente determinato dalla distribuzione dei dividendi sul risultato 2005 per euro 550,6 milioni, dagli  investimenti totali del periodo (euro 65,1 milioni  che includono euro 16,8 milioni per l'acquisto di diritti televisivi, euro 43,7 milioni per l'attività di sviluppo del Digitale Terrestre e altri investimenti per euro 4,6 milioni) dal cash flow operativo (negativo per euro 114,1 milioni), solo in parte compensati dall'effetto positivo conseguente la vendita del Gruppo Buffetti per euro 65,8 milioni e per euro 126,8 milioni dall'incasso da Telecom Italia del credito relativo al Consolidato Fiscale Nazionale.
Vorrei che qualcuno migliore di me nella lettura dei bilanci e dei loro commenti mi spiegasse se questo significa che l'indebitamento è aumentato di mezzo miliardo principalmente per distribuire dividendi per circa altrettanto... Chissà, in ogni caso, che ne pensano gli azionisti di minoranza di Telecom Italia Media... Un'impressione: ci sono cambiamenti manageriali in vista.

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Padova. Ezio Andreta...

Aula Magna dell'università di Padova. Una scenografia straordinaria. Silicon Valley, mandovai? Fossimo in grado di vedere come è bella e interessante l'Italia! Mi spiego meglio.

Oggi sono stato al convegno Innovazione e imprese ad alta tecnologia. Alla tavola rotonda c'erano Ezio Andreta, un vero visionario, Fabio Gava, assessore della Regione Veneto, Mario Carraro, un imprenditore di coraggio, Alessandra Perrazzelli, fortissima, Intesa-San Paolo, Francesco De Rubertis, lineare venture capitalist di Index Ventures, Luigi Rossi Luciani, presidente di Veneto Nanotech.

Ezio Andreta ha dato la linea. L'ex capo della ricerca alla Commissione Europea, che oggi è in pensione, cioè lavora un sacco, ha creato una visione: il mondo dell'industria tradizionale è in declino. Anche in Italia. Ma questo non è il declino dell'Italia. In realtà, è l'entrata nell'economia della conoscenza. Stiamo entrando in un'epoca in cui molte cose si rovesciano: una volta era l'industria a trainare la conoscenza, domani sarà la conoscenza a trainare l'industria. Innovazione e creatività vanno insieme. Quello che dobbiamo cercare non è l'alta tecnologia, ma l'alto valore aggiunto. Nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienze cognitive stanno trasformando il mondo. Si produrrà come produce la natura, dal basso in alto, non nel modo assurdo che è stato adottato nella breve parentesi industriale. La Cina e l'India, nel 1750, erano al livello al quale arriveranno tra una trentina d'anni: stiamo vivendo un riequilibrio globale. Nulla di strano. Andreta, il visionario sa descrivere la società della conoscenza. E chiarisce: ci si arriva per discontinuità.

Intanto, visto che non sa com'è fatta la società della conoscenza, la finanza globale tiene i soldi parcheggiati in attività che non servono a nulla, come l'immobiliare. E questo alza i tassi d'interesse nonostante che l'inflazione sia mantenuta bassa dalla Cina.

Alessandra Perrazelli ha dato l'immagine di una banca che cerca una sua piccola rivoluzione. Il suo fondo finanzia le idee. Valutano il progetto, o meglio il sogno dell'imprenditore. Si modificano i parametri di valutazione del rischio. Si crede nel progetto come strumento di concorrenza.

Francesco De Rubertis ha mostrato come il sistema del venture capital americano si comporti in modo molto prudente quando agisce in Europa.

Si direbbe che abbia un'influenza culturale più che economica. Ci devo pensare meglio. Comunque la discussione è stata molto centrata sui difetti dell'Italia. Denunciati anche in modo vagamente troppo drastico. Poche grandi imprese tecnologiche, poche start up, niente università... Troppo: la Stm c'è, le start up pullulano più che altrove, le università sono piene di giovani prof con buona dote di iniziativa, le aziende creative non mancano.

Ne ho tratto l'impressione che l'Italia è nei guai. Ma il guaio è soprattutto che l'Italia si vede nei guai, forse eccessivamente. Cambiare il sistema e fare sistema sono forse la stessa cosa, qui. La questione chiave è coltivare una visione. La visione della quale c'è bisogno è una sintesi generi un'idea condivisa tra gli italiani, tra gli europei, sulla direzione da prendere. Per attraversare costruttivamente questa fase di profonda trasformazione.

La sostenibilità è la chiave. E la sostenibilità è ambientale, culturale, sociale.

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9:46:31 PM    comment [];


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