Luca De Biase
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Giovedì, 10 agosto 2006
 

Il labirinto delle regolamentazioni

Non è facile per nessuno giudicare il comportamento dei regolatori dei media e delle telecomunicazioni. Intendiamoci, le cose sbagliate si vedono subito. Ma quelle giuste possono apparire tali in un certo periodo e sbagliate in un altro periodo. Tipo: abbassare le tariffe fa bene, ai consumatori, ma male ai concorrenti degli ex monopolisti, quindi alla fine fa male ai consumatori... Incentivare gli investimenti degli ex monopolisti va bene all'innovazione, ma poi li mette in condizioni di schiacciante superiorità contro i concorrenti... Far pagare le licenze Umts va bene quando la bolla fa credere che i prezzi alti siano giustificati, ma poi quello diventa un argomento per bloccare lo sviluppo di tecnologie alternative come il Wimax...

In Germania, a quanto ho capito, la Deutsche Telekom non vuole mettere a disposizione dei concorrenti la sua super-rete e minaccia di bloccare gli investimenti per il suo ulteriore sviluppo se non sarà lasciata libera di usarla come le pare e piace. La Commissione Europea vuole che l'ex monopolista tedesco, invece, condivida la rete a prezzi onesti. Intanto, in Italia la discussione sui prezzi di terminazione nasconde un tema vero: quanto è necessario un trattamento asimmetrico a favore dei concorrenti della Telecom Italia? Come si fa a valutare gli effetti di una questione come questa?

Io non sono un regolatore. E non vorrei esserlo. Credo che si possa però riflettere sui principi che possono essere seguiti per distinguere buone e cattive regole.

A me vengono in mente questi principi, ma vorrei avere in questo caso una discussione con coloro che ci capiscono davvero:
1. La distinzione fondamentale non è tra mercati nuovi e vecchi, ma tra mercati delle infrastrutture di rete, mercati dei servizi e mercati delle applicazioni. Insomma, l'idea è che di fatto si debba passare dall'integrazione verticale alla specializzazione orizzontale.
2. Da questo punto di vista, non ci sono differenze tra televisione (digitale) e telecomunicazioni fisse o mobili. In tutti questi settori, le reti dovrebbero essere regolate in modo fortemente garantista perché hanno un connotato pubblico indiscutibile (le frequenze, gli spazi fisici nei quali passano i cavi, i siti nei quali sono le antenne). I servizi (cioè la gestione degli abbonati) dovrebbero funzionare su quelle reti pubblicamente regolate in modo assolutamente privatistico e competitivo. Le applicazioni (dalla mail alla telefonata, dal web ai contenuti della tv) dovrebbero poter contare su sistemi di rete interoperabili e su servizi che non competono in base all'esclusiva ma alla qualità delle relazioni con i clienti.
3. L'obiettivo generale di tutto questo dovrebbe essere quello di portare il più possibile il sistema a funzionare come una sorta di internet, con un ecosistema ricco e rigoglioso di nuove iniziative, con pochi dazi da pagare e certezze tecniche negli standard e nelle regole di mercato. Qualunque mercato-rete tende a privilegiare le tecnologie più diffuse, meglio dunque puntare a standard aperti o interoperabili. Per l'Italia è più probabile riuscire a vendere in giro per il mondo delle applicazioni interessanti, nate su un mercato intelligente e competitivo, piuttosto che tecnologie che puntano al controllo di un mercato in qualche modo protetto.

Mi pare che nel nuovo governo ci sia molta attenzione a queste idee. Gentiloni e Lanzillotta ne parlano spesso. La Commissione mi pare meno chiara nei suoi movimenti. Ma è chiaro che tutto in questo settore è molto, molto difficile, anche senza contare il peso delle varie lobby in lizza.

Che tutto questo metta in difficoltà i colossi molto indebitati è chiaro: per adesso, la difesa delle posizioni ha sostenuto anche il servizio del debito dei giganti delle telecomunicazioni, garantendo alti margini. Ma è stato come far pagare ai consumatori e alle imprese i costi delle operazioni finanziarie effettuate in passato. Non si riuscirà a risolvere tutto in modo indolore per tutti: sarebbe bello tentare di far pagare qualcosa alla finanza, piuttosto che a consumatori e imprese. Ma per arrivarci ci vorrebbe davvero un colpo di fantasia.

La cessione della rete Telecom Italia a un consorzio di banche e Cassa Depositi e Prestiti, con annesso un carico di debiti, potrebbe funzionare? Solo se quel carico fosse limitato: perché altrimenti si avrebbe una rete che non investe. Meglio tenere i debiti più vicino a chi li ha contratti e a chi li ha concessi in modo forse avventato. Senza punire, ma tenendo la barra sugli interessi generali: la Telecom Italia, la Mediaset, la Rai sono ovviamente parte del patrimonio industriale del paese, come lo è stata per anni la Fiat. Ma sarebbe bello vedere - e non saprei suggerire come - un trattamento di quel patrimonio da parte delle autorità, più colto, più alto, meno dilettantesco e meno succube. La Francia ha saputo sviluppare un dirigismo efficiente. La Gran Bretagna un approccio al mercato condiviso da tutti. L'Italia sembra abbastanza lontana da entrambi i modelli: deve trovare il suo. Ce la può fare.

Certamente ho parlato di cose che non posso conoscere a fondo. E forse mi sono lasciato trasportare dalle intuizioni. Ma avverto la necessità di andare a un dibattito pubblico su queste questioni. E ho l'impressione che alcune semplificazioni aiuterebbero a gestirlo. Nell'interesse di tutti. Davvero di tutti.

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