Questi sono appunti. Vanno presi come una sorta di raccolta di temi che sarebbe interessante approfondire. Possono essere visti come una bibliografia ragionevole. Oppure semplicemente come spunti di discussione per il corso:
Information technology e nuove piattaforme culturali – IULM 2012
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1. Progetto : informazione, tecnologia, piattaforme, cultura; novità e innovazione
2. Paradigmi , ecosistemi, complessità, economia della conoscenza, reti
3. Internet come tema evolutivo: le connessioni e la specie
4. Internet come tema antropologico: spazio e tempo
5. Internet come design culturale: piattaforme della vita quotidiana
6. Piattaforme culturali, nuovi media sociali, gamification: industrie culturali
7. Piattaforme culturali, educazione, ricerca, informazione: civic media
8. Prospettive : metodi per la visione ed evoluzione della tecnologia
9. Prospettive : economia della conoscenza, copyright e commons
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Background
Paul Saffo. Quando influiscono davvero sulle nostre vite, i sistemi informativi cessano di essere sistemi informativi e diventano media
http://www.saffo.com/
Régis Debray, Cours de Mèdiologie générale, Gallimard 1991
Régis Debray, uno dei fondatori della mediologia, la disciplina che si occupa, per così dire, della logistica delle idee e delle informazioni: cioè del modo in cui si trasportano le idee, della loro circolazione nella società. Al cuore della mediologia, naturalmente, c’è l’ambito dilagante dei media, i mezzi tecnologici e sociali dello scambio simbolico. Definirli come la somma delle tecnologie mediatiche (per esempio, televisione, radio, giornali, e così via) fa torto alla loro importanza, perché la trasmissione del senso, dell’informazione e della conoscenza si estende molto al di là delle forme con le quali è consapevolmente proposta e attraverso le quali si incarna nella vita di ogni giorno, in modo tanto più decisivo quanto più inconscio. Il paesaggio urbanizzato, l’arredamento, l’abbigliamento, l’alimentazione, che pure hanno funzioni specifiche, sono anche forme materiali attraverso le quali – con la mediazione delle quali – la società trasmette i suoi messaggi. Del resto, chi trascorre la propria vita quotidiana in ambienti pregni di significati è a sua volta disposto a svolgere in parte il ruolo di mediatore di informazione: il passaparola è uno dei modi più importanti di trasmissione della conoscenza ed è una dimensione definita per lo più dall’idea di «vicinato». Un’idea spaziale, ancora una volta: anche se lo spazio varia, ovviamente, con la definizione più o meno astratta del territorio in cui si può essere vicini o, come si dice su Facebook, «amici». Sicché non si comprendono gli apparati preposti alla trasmissione delle informazioni se non considerandoli nell’ecosistema molto più ampio della mediasfera, che comprende inevitabilmente tutte le cose che parlano – che servono a parlare -, incluse quelle non specialisticamente ed espressamente preposte a questa funzione, ma che sono parte integrante dell’insieme dei modi con i quali le persone accedono alla conoscenza, ai simboli, alle idee e persino alle notizie. La stessa internet non è una tecnologia dedicata specificamente allo scambio simbolico – di sicuro non è solo un medium, per come si intende solitamente questo termine -, sebbene possa essere usata anche per questo: è invece una tecnologia destinata a fondersi nel paesaggio e ad aggiungere al paesaggio e agli elementi che lo compongono un’ulteriore capacità di “parlare”.
Si direbbe insomma che occorra guardare all’ecosistema dell’informazione con lo stesso sguardo che si dedica alla storia in generale:
1. Una grandissima parte dell’attività di informazione si svolge nella vita quotidiana, nel rapporto che le persone coltivano tra loro e con le cose che le circondano.
2. C’è poi la dimensione dello scambio consapevole di informazioni, che avviene attraverso gli apparati dedicati a questa funzione, regolato da meccanismi tecnologici, economici e narrativi storicamente determinati.
3. E infine si può pensare a una dimensione del controllo dell’informazione, della quale si parla molto ma le cui logiche non sono alla portata di tutti perché riguardano le dinamiche con le quali le diverse società e le diverse epoche affrontano le grandi questioni del potere, del capitale finan- ziario, dell’autorità culturale, della leadership sociale, della partecipazione democratica. In questo senso, per dirla con Debray, «la mediologia vorrebbe essere per il mondo ideologico quello che l’ecologia è per il mondo economico». In fondo, dice Debray, l’economia si è arricchita della ricerca sulle caratteristiche dell’ambiente fisico nel quale la società vive, sui limiti alle risorse e sugli equilibri tra le specie: allo stesso modo la dinamica della creazione delle idee si arricchisce se assume la consapevolezza del suo ambiente mediatico, dei limiti e delle opportunità offerte dagli strumenti e dalle logiche dell’ecosistema dell’informazione.
Tutto questo significa che il ruolo degli apparati dedicati prevalentemente allo scambio di informazioni, quelli che chiamiamo correntemente «media», si comprende solo nel contesto di tutto quanto attiene alla generazione di senso: le persone sono le stesse, sia quando sono pubblico dei mezzi di comunicazione sia quando vivono in un paesaggio che a sua volta comunica. E le idee che esse si formano derivano dalla sintesi di quanto vengono a sapere dai media e dall’esperienza che compiono nel loro spazio di vita. Non possono sopravvivere a lungo quei media che raccontino una storia troppo diversa da quella raccontata dall’esperienza. Anche se ci possono essere media abbastanza potenti da modificare l’esperienza e la sua percezione. Per un po’ di tempo.
Gli individui sono manipolabili per molto tempo. I gruppi sono manipolabili per un po’ meno tempo. La storia non è manipolabile quasi per nulla.
Marshall McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore 2011 (originale 1964)
Il sottotitolo della versione originale richiamava una delle funzioni fondamentali dei media: “The Extensions of Man”. Con una precisazione: mentre i martelli e le automobili sono estensioni delle mani o dei piedi, i media sono estensioni del cervello e delle sue capacità di connettersi alle altre persone. E influiscono sulle connessioni per le loro caratteristiche strutturali più di quanto le persone si accorgano. «Il mezzo è il messaggio» è una formula persino troppo ripetuta ma non può essere dimenticata neppure per un attimo. Non c’è modo di affrontare il tema dei media senza dare un’occhiata vera al libro di McLuhan. Per andare oltre l’idea che il mezzo è il messaggio e il contenuto è il pubblico.
Una lezione di Peppino Ortoleva su McLuhan si può vedere qui
http://vimeo.com/25076932
I brani registrati di McLuhan sono molti, anche se raramente più che suggestivi:
http://youtu.be/ZF8jej3j5vA
http://youtu.be/FvATW2nfYZg
La costruzione di una coscienza collettiva per il villaggio globale che annulla la coscienza individuale.
Una lezione abbastanza completa in tre parti:
http://youtu.be/ImaH51F4HBw
http://youtu.be/a11DEFm0WCw
http://youtu.be/CtpX8A7Q2pE
(Televisione e analfabetismo? Genera una diversa forma di consapevolezza: è soggettiva e coinvolgente. La gente che fa la radio è molto più alfabetizzata della gente che fa la televisione, per la complementarietà dei media. Reading è guessing. La pubblicità è una forma d’arte collettiva, non privata, e come ogni forma d’arte è intrappola il cervello degli altri. La televisione è popolare e si insinua nel pensiero popolare: non abbiamo modo di misurare il suo effetto, solo i suoi risultati, in termini di prodotti venduti. Quello che si dice in tv è importante, ma il messaggio della struttura della televisione è indipendente dal programma. La tecnologia della televisione è enorme e ci circonda, fisicamente. L’effetto di quell’ambiente tecnologico su ciascuno di noi, personalmente, è vasto. L’effetto del programma è incidentale. I media sono potenti perché possono manipolare intere popolazioni. … La violenza è un’espressione unilaterale che serve anche alla generazione di identità e certi giochi sono forme di violenza tenuta sotto controllo. Guardare al passato serve a guardare il futuro).
radio e tv
http://youtu.be/fgv72SRHdUI
altri frammenti cercando Marshall McLuhan Speaks – Centennial 2011 su YouTube:
http://www.youtube.com/results?search_query=Marshall+McLuhan+Speaks+-+Centennial+2011&oq=Marshall+McLuhan+Speaks+-+Centennial+2011&aq=f&aqi=&aql=&gs_sm=e&gs_upl=17150l17150l0l18043l1l1l0l0l0l0l100l100l0.1l1l0
Link, Idee per la televisione, ha dedicato a McLuhan un numero monografico nel corso del 2011, il centenario della nascita.
Peppino Ortoleva, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Il Saggiatore 2009
«Non ci sono dubbi: ai primi posti tra i fatti che contano dobbiamo collocare le forme e le nuove abitudini della comunicazione: le tecnologie, ma anche i fenomeni sociali che ci hanno tutti coinvolti in modo rapido e imprevedibile, dal web al telefonino, alle comunità virtuali». Perché ne parliamo così tanto? Per almeno due grandi motivi: «il primo è l’intensificarsi del ritmo dell’inovazione tecnologica e mediatica» dove la legge di Moore e la legge di Metcalfe dominano la scena; «il secondo è il peso attribuito ai media e (se così si può dire) le responsabilità crescenti che li accompagnano: non solo in quanto veicoli di contenuti, più o meno persuasivi; non solo in quanto strumenti essenziali di connessione tra le persone; ma anche in quanto protagonisti della storia contemporanea, in quanto motori, per molti aspetti autonomi, della dinamica sociale e culturale».
I media e le piattaforme culturali, con i vari strumenti di accesso, distribuzione, elaborazione, fruizione, sono estensioni del sistema nervoso. Generano un ambiente. Influenzano tutti. E i loro architetti hanno responsabilità analoghe a quelle degli architetti che costruiscono il paesaggio.
Perché se la televisione ha creato un ambiente, con una meravigliosa semplicità che tendeva alla più orribile banalizzazione, le piattaforme digitali sociali creano un ambiente molteplice, attraverso percorsi che appaiono molto più sofisticati, complessi, intricati, diretti, efficienti, misurabili: i loro difetti sono parte della storia, la loro innovazione è parte della storia. E la loro struttura è evidente e davanti agli occhi di tutti. Si potrebbe forse dire che lo spettacolo offerto dalla televisione come ambiente sia stata basata su una scenografia ricostruita in studio, mentre lo spettacolo offerto da internet è registrato nella vita reale delle persone, con i suoi pregi e difetti. Ma forse è più chiaro affermare che l’architettura della televisione è classica e gerarchica, come quella delle piramidi e dei campanili; laddove l’architettura dell’internet mostra la rete di travi d’acciaio che la sostengono nelle sue parti essenziali, insieme a tutte le miriadi forme costruttive che ogni singolo utente può a sua volta proporre. È più complessa e più agibile. Almeno fintantoché la sua complessità non induca nella tentazione di smettere di voler capire i mezzi di cui stiamo parlando e provochi un rigetto analfabetizzante…
L’estensione del sistema nervoso operata da internet è gigantesca. E l’accesso personale si fa sempre più fisicamente presente nella vita quotidiana. Dal computer sulla scrivania al personal portatile fino ai vari telefonini, smartphone, tablet, lettori di musica connessi alla rete, console per videogiochi, televisori e radio che accedono a internet, navigatori per auto e così via, l’ambiente è pervaso dalla connessione internettiana. Senza dimenticare la quantità di oggetti che man mano si vanno connettendo, con i loro sensori che leggono le condizioni ambientali e che tengono traccia delle condizioni interne agli oggetti stessi. La rete sta connettendo ogni elemento del paesaggio a ogni persona che a sua volta è connessa a ogni altra persona.
C’è un dibattito sull’effetto generale dei nuovi media digitali e sociali che non cessa di generare nuove suggestioni. Un punto di riferimento può essere la contrapposizione tra le opinioni di Nicholas Carr e di Clay Shirky. Il primo convinto che la conseguenza dei media digitali rischi di essere un tendenziale instupidimento del cervello, abituato ad affidare sempre più funzioni alla macchina. Il secondo convinto al contrario che questi strumenti abilitino il superamento della passività tipica dell’epoca della televisione e aprano la strada a nuove forme di collaborazione fruttuosa ed efficace per la costruzione di una società migliore.
Nicholas Carr, The Shallows. What the internet is doing to our brains, Norton 2010
Clay Shirky, Cognitive surplus. Creativity and generosity in a connected age, Penguin 2010
Per Ortoleva, la soluzione sta nella lettura storica di quanto sta avvenendo, metodologicamente orientata a leggere le innovazioni in relazione a ciò che non cambia. Come del resto avrebbe insegnato a fare il maestro degli strorici del secolo scorso, Fernand Braudel. Il suo libro, citato sopra, serve proprio a questo.
Design culturale
Quanto siamo influenzati dai media? Se siamo così poco razionali e così orientati a vivere in gruppo, imitandoci reciprocamente, i media ci aiutano a scegliere o manipolano le nostre scelte? E che cosa è cambiato sotto questo profilo dall’epoca dei media analogici industriali a quella dei media sociali digitali?
In effetti, i media possono essere considerati, non dal punto di vista della struttura ma da quello della funzione, come sistemi di coordinamento dei pensieri e dei comportamenti di grandi insiemi di individui. Abbeverandosi costantemente alle sorgenti culturali fondamentali, biologiche e antropologiche, quelle che riguardano la sopravvivenza della specie umana e la costruzione identitaria delle civiltà, delle etnie e delle comunità, i media svolgono a loro volta alcune funzioni nella dimensione più quotidiana e congiunturale della costruzione culturale.
In questo senso possono essere considerati degli strumenti di design della cultura, con un esplicito riferimento a durate relativamente brevi, come quelle delle mode e delle congiunture appunto.
Le tre funzioni fondamentali del design culturale che si può progettare con i media sono:
1. agenda setting
2. priming
3. framing
Proprio sulla base delle conoscenze che abbiamo sulla struttura del cervello, sulla struttura delle narrazioni identitarie fondamentali, sull’ambiente costruito dalle piattaforme persuasive e sulla prevalenza dell’intuizione rispetto al ragionamento critico nel modo in cui le persone prendono le loro decisioni, possiamo dire che i media hanno un’importanza enorme nella costruizione di quello che la gente pensa nel corso della sua vita quotidiana.
Vediamo le tre funzioni del design mentale dei media.
1. Agenda setting. Si tratta della capacità dei media di portare degli argomenti all’attenzione del pubblico. Con lo scopo di arrivare a condizionare anche i decisori, politici o economici o amministrativi o giudiziari o altro. L’idea di base è che quando i media dedicano maggiore attenzione a un argomento, il pubblico percepisce quell’argomento come importante. Se i media raccontano molte storie di criminalità, cambiamento climatico, disastro finanziario, allora il pubblico considera quegli argomenti importanti. Ilvo Diamanti ha dimostrato senza smentite che il pubblico italiano è stato condizionato, tra il 2007 e il 2008, a pensare che la criminalità fosse il primo problema del paese, attraverso un innalzamento clamoroso del numero di servizi dedicati a crimini nei telegiornali. Insomma, l’agenda setting si genera attraverso la selezione di ciò che i media portano e non portano all’attenzione del pubblico.
Lo studio fondamentale in materia è stato realizzato da Maxwell McCombs e Donald Shaw nel 1972: “The agenda setting function of mass media”.
http://poq.oxfordjournals.org/content/36/2/176.abstract
http://www.agendasetting.com/index.php/agenda-setting-research
http://www.mediatenor.com/smi_AS_approach.php
http://www.jstor.org/pss/1956018
Gli studi che dimostrano come la selezione degli argomenti operata sui media influenzi la pubblica opinione sono molti. Meno chiaro è se la pubblica opinione influenzi la politica. Beniamin Page e Robert Shapiro, in “Effects of Public Opinion on Policy” (American Political Science Review, 1983), sostengono di sì. Il che è coerente con l’idea che i media siano in qualche modo un quarto potere, indipendente dagli altri. Ma è vero? La correlazione tra quello che dicono i media – dunque è pensato dal pubblico – e quello che fanno i politici è piuttosto significativa: ma qual è il verso giusto della relazione? Sono i media – dunque il pubblico – a influenzare i politici o sono i politici a influenzare i media – dunque il pubblico?
Da una trentina d’anni a questa parte si assite a una crescente competenza delle dinamiche dei media da parte dei politici e degli altri sistemi di potere. E si può anche osservare che in effetti i media tendono a selezionare argomenti che sono piuttosto coerenti con l’agenda che impongono i sistemi di potere. Il che spiegherebbe il caso citato e studiato da Ilvo Diamanti: il partito che aveva il pieno controllo dei media televisivi in Italia è riuscito a influenzare il sistema dei media nel suo complesso e dunque la pubblica opinione a dedicare attenzione a un argomento che favoriva quel partito e sfavoriva i suoi avversari.
È cambiato qualcosa con internet? L’indipendenza della circolazione di notizie e dell’attenzione dedicata agli argomenti sulle varie piattaforme internettiane è certamente più ampia rispetto alla situazione precedente. E in effetti nel corso del 2011, proprio l’anno in cui la maggioranza degli italiani è risultata connessa, secondo le stime del Censis, è accaduto che la maggioranza degli elettori è andata a votare ai 4 referendum nazionali, nonostante che le televisioni avessero operato una scelta chiarissima, non portando quasi per nulla l’argomento all’attenzione dei telespettatori: e poiché i giornali non bastano a fare la maggioranza degli italiani, evidentemente è stata la rete internet a contribuire all’attenzione generale in questo caso.
L’agenda setting sembra funzionare di più come nella sua impostazione originaria se il sistema dei media è più diversificato. Cosa che è avvenuta con l’avvento di internet.
2. Priming. Il concetto è basato su teorie, citate in altra scheda, come quelle di Daniel Kahneman e altri, secondo le quali le persone non decidono sempre in modo razionale. Anzi il più delle volte decidono in base alla prima cosa che viene loro in mente.
Una quantità di studi ed esperiementi dimostra che siamo influenzati dalle immagini che abbiamo appena visto e da ciò che simboleggiano, dalle emozioni che richiamano, dalle sensazioni che evocano. Un gruppo di persone esposto a una serie di immagini di premi Nobel risponde meglio alle domande di cultura generale di un gruppo di persone esposto a immagini di hooligan che commettono atti piuttosto barbarici. Malcom Gladwell ricorda che nel corso di una campagna elettorale presidenziale americana i dibattiti tra i due candidati sono stati condotti secondo regole molto precise e senza particolari distorsioni dai tre conduttori delle tre principali catene televisive. Ma in una delle catene, il conduttore faceva espressioni di leggero disgusto quando parlava un candidato e di leggera approvazione quando parlava l’altro candidato: è risultato che gli spettatori di quella rete hanno votato con maggiore frequenza per il candidato che suscitava le espressioni di approvazione da parte del conduttore.
Le immagini di questo tipo vengono memorizzate anche se il pubblico con presta loro attenzione ed evocano approvazione o disapprovazione, generando conseguenze sull’opinione di base del pubblico e soprattutto sulle sue azioni conseguenti.
Nel passaggio da poche centrali mediatiche all’enorme numero di soggetti mediatici che si sviluppa in rete, la probabilità di una manipolazione centralizzata delle opinioni usando tecniche di priming tende a scendere. Ma questo non vuol dire che il priming cessi di funzionare. Semplicemente è a disposizione di molte diverse strutture mediatiche. Nell’internet attuale, il priming sembra funzionare soprattutto come aggregatore del pubblico in isole di caratteri culturali e valoriali simili.
http://www.interaction-design.org/encyclopedia/priming.html
«The concept of priming can also be applied more directly to interface design. Using priming you are able to “key a user in on” a certain way of thinking, or predispose (i.e. priming ) a user to make certain choices by the rhetoric you use».
http://www.scholarpedia.org/article/Negative_priming
«In the complex environments we inhabit, a vast amount of information bombards our senses. But in order to achieve goals, we must selectively attend to a limited amount of that information. The brain processes much of this information rapidly in parallel, and multiple sources of information can compete for the control of action». Esercizi di priming negativo.
http://changingminds.org/explanations/theories/priming.htm
«Priming is providing a stimulus that influences their near-term future thoughts and actions, even though they may not seem to be connected. Priming also increases the speed at which the second, related item is recognized».
http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2009/04/i-subdoli-effetti-del-punto-esclamativo.html
«Il ricercatore olandese Kees van den Bos ed i suoi colleghi hanno esposto 62 persone ad un punto esclamativo, visualizzato sullo schermo del PC. Un semplice punto esclamativo, alto 3 cm e largo mezzo cm, osservato sullo schermo per 1 minuto di tempo. Un altro gruppo di 62 persone osservava invece la stessa schermata, ma priva del punto esclamativo. Fatto ciò, i ricercatori raccontavano una storia alle persone, dove si chiedeva loro di immaginare di esser andati ad un concorso per un posto di lavoro. La storia proseguiva con tutti i dettagli delle prove a cui l’ipotetica azienda li aveva sottoposti e per alcuni si concludeva con un esito positivo, mentre per altri terminava con un esito negativo. A questo punto, si chiedeva alle persone di esprimere dei giudizi su quanto corretto fosse stato il comportamento dell’azienda. E qui arriva la sorpresa. Le persone che erano state esposte al punto esclamativo tendevano ad esprimere giudizi più estremi (nel bene o nel male) di quelle non esposte».
http://www.oxfordbibliographiesonline.com/view/document/obo-9780199756841/obo-9780199756841-0012.xml;jsessionid=B7B6FA31B09A7DB4529E8CE5F38DFB06
3. Framing.
Se l’agenda setting suggerisce quali sono gli argomenti importanti e se il priming può collegare gli argomenti a sensazioni, il framing suggerisce che cosa pensare di quegli argomenti e perché.
Creare un frame, cioè un quadro interpretativo, significa comunicare in un modo che porta il pubblico a vedere un argomento sotto una particolare luce o in base a una speciale prospettiva. Gli aspetti che non sono coerenti con il frame non arrivano all’attenzione non perché non sono citati ma perché sono interpretati come non importanti. Il framing si abbevera di pregiudizi, convinzioni preesistenti, abitudini e mentalità, opinioni diffuse. Il framing sottolinea e illumina certi aspetti e punti di vista sui fatti e sottovaluta altri aspetti e punti di vista su quei fatti.
Il tema del “riscaldamento globale” è stato molto controverso. Ma quando è stato inquadrato diversamente come “cambiamento climatico” ha raggiunto molto più consenso.
C’è una convinzione di scuola, nel mondo dei media, secondo la quale un frame negativo suscita più interesse di un frame positivo. Non c’è molto da fare: i giornali pensano che questo sia il caso e che le cattive notizie vendano meglio delle buone notizie. Che sia vero o no, questo comporta che le probabilità che il pubblico consideri negativamente i fatti portati all’attenzione del pubblico dai giornali sono maggiori delle probabilità del fenomeno opposto.
Ma esistono molte tecniche e molte applicazioni diverse del framing. L’inquadramento dei fatti può essere tale da definirli come episodi o come tendenze, per esempio. Nel caso di notizie episodiche su situazioni di povertà le persone tenderanno a giudicare i fatti in base all’idea che si tratti di persone che hanno avuto sfortuna, che non hanno voglia di lavorare o che non sono brave. Quando invece viene evocato il tema della povertà, magari collegato a una crisi ben precisa e motivata, o semplicemente si citano i dati sulla disoccupazione in aumento, le persone considereranno gli stessi fatti come conseguenza di un fenomeno generale, economico e sociale ma non individuale.
http://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/I/bo3684515.html
http://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/N/bo10579884.html
Un’altra osservazione che si è fatta è legata al trattamento dei fatti in termini di breve o lungo termine. Se un fatto di corruzione è proposto in base ai suoi effetti immediati, è probabile che riesca a generare una reazione di indignazione; se invece è proposto dal punto di vista strategico, sottolineando le radici sistemiche del fenomeno della corruzione e le necessarie misure di lungo termine che occorrono per risolverlo, allora le persone probabilmente reagiranno in modo cinico, pensando all’idea che la politica è tutta corrotta.
http://www.oup.com/us/catalog/general/subject/Communication/Journalism/?view=usa&ci=9780195090642
Il pubblico esposto al framing impara a che cosa pensare, a come pensarlo, a perché pensarlo e a come reagire. Perché usando il framing i media riescono a dare i fatti quotidiani richiamando in breve molte conoscenze già acquisite che fanno da contesto al fatto e lo rendono comprensibile immediatamente, anche se non necessariamente in modo completo e accurato. Se il framing è ideologico o invece orientato alla ricerca indipendente delle spiegazioni, avrà diverse conseguenze sulla convivenza civile.
È probabile che il framing sia più concentrato e strutturato nei media tradizionali e più frammentato nei nuovi media digitali sociali. Se nelle piattaforme digitali le persone si aggregano intorno a isole valoriali che le accomunano in fretta, rafforzeranno vicendevolemente dei frame interpretativi che avranno un effetto sul modo di valutare i fatti. Poiché questo avviene molto spesso i nuovi media potrebbero avere l’effetto immediato di aumentare l’importanza dei frame e di restringerne la dimensione. Ma i media digitali non si fermano. E la consapevolezza che questo tema sia importante sta portando all’attenzione non solo le forme di aggregazione valoriali ma anche quelle orientate alla costruzione di cittadinanza, mutuo soccorso informativo, condivisione di principi di ricerca delle notizie. Il caso di Timu è un esempio di “civic media”: un fenomeno che potrebbe allargarsi.
Promemoria
Di certo, la comprensione del fenomeno dal punto di vista dei media è un compito piuttosto complesso. Le piattaforme che gestiscono tutto questo sono molteplici, cambiano velocemente e, come in tutti i casi in cui si tratta di funzioni mediatiche, sono comprensibili solo tenendo conto contemporaneamente di diverse componenti. Almeno tre, se non molte di più:
1. la struttura tecnica dei media e la loro presenza nel paesaggio
2. il modo in cui gli utenti (produttori e fruitori) li riempiono di contenuti e di significati
3. la velocità del loro cambiamento generata dalla combinazione dei primi due punti
I tempi di questi andamenti si sovrappongono, i fenomeni coevolvono, le durate sono molteplici. Le piattaforme culturali in questo contesto si progettano, si lanciano nel mare aperto della rete, si adottano o respingono coll’indifferenza, si ridefiniscono nella pratica, generano connessioni inopinate, nuove abitudini e simulazioni di antiche consuetudini, ricerche innovative e rinnovate ipotesi artistiche.
Gli esempi da citare sono molti dal lato della tecnologia dei media e che hanno impatto culturale:
1. internet nel suo complesso
2. la posta elettronica
3. il web (dai siti ai motori di ricerca)
4. le piattaforme tecniche (chiuse e aperte, proprietarie e comuni, fisse e mobili, client e nuvola)
5. le piattaforme sociali, i social network
6. le piattaforme economiche e finanziarie
E del resto sono moltissimi gli esempi da citare dal punto di vista delle iniziative culturali che usano internet:
1. informazione
2. giochi e spettacolo
3. educazione
4. ricerca
5. musica e arte
6. pubblicità
Si abilitano pratiche motivate da diversi modelli:
1. professionale di mercato
2. professionale di comunità
3. professionale statale
4. amatoriale
I linguaggi tradizionalmente separati dei vecchi media tendono a confondersi: testo, audio, video, fotografia, disegno, infografica, animazione.
Mentre le strutture produttive professionali e amatoriali tendono a combinare saperi un tempo separati: autorialità, design, programmazione.
Le popolazioni si aggregano e disaggregano costantemente, ma si vedono alcune aggregazioni emergenti: tra chi sa e chi non sa usare gli strumenti, tra chi è motivato e chi non lo è, tra chi è attratto e chi non lo è, tra chi interviene innovando e chi si limita a consumare. La velocità di connessione tende a facilitare l’incontro di simili, ma le logiche possono continuamente cambiare.
Per chi intenda lanciare un’iniziativa, la barriera all’entrata è bassa, ma la competenza richiesta è sempre più elevata.
I capitoli di una elencazione di piattaforme avrebbero questi titoli:
1. protocollo internet – le telecomunicazioni digitali e la connessione di tutti i computer
2. dimensione del web e servizi di pubblicazione e ricerca di informazioni
3. grandi piattaforme proprietarie integrate: Microsoft, Apple, Google, Amazon
4. grandi piattaforme sociali originariamente aperte: dalla posta elettronica ai blog
5. social network e media sociali tendenzialmente proprietari: Facebook, YouTube, Twitter, Flickr, Quora, Anobii, Google+
La progettazione di nuove piattaforme culturali o di iniziative che facciano leva su di esse in questo contesto è un’attività che trova ispirazione in una quantità di fenomeni e opportunità senza paragoni, con committenti sempre più diversi:
1. pubbliche amministrazioni votate a favorire la crescita quantitativa e qualitativa delle popolazioni dei loro territori
2. aziende che comprendono il valore della cultura nel contesto dell’economia della conoscenza e della felicità
3. istituzioni educative di ogni genere, dai musei agli archivi, dalle scuole alle università
4. mercati d’arte, musica, editoria, spettacolo
5. mercati di mestieri e competenze al servizio dei progetti e dei loro utilizzatori
Dovremo trovare gli esempi di eccellenza per ogni capitolo citato. E le start-up che dimostrano in quali segmenti dell’attività si cerchi di innovare.
Le idee sono ipotesi. I risultati sono le verifiche. E le piattaforme culturali sono il risultato della conoscenza che si è così formata sulla base del pensiero e dell’esperienza: i progetti di queste piattaforme funzionano tanto meglio quanto più sono concentrati sullo scopo e non solo sui mezzi, con piena attenzione a quanto si impara ogni giorno. .