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Coronacrisi. I pregiudizi contro la spesa pubblica. Come (non) contenere il virus della sfiducia

Dalle puntate precedenti. Il neoliberismo ha configurato i sistemi sanitari sul parametro dell’efficienza intesa come riduzione dei costi. I sistemi sanitari non hanno avuto la ridonzanza sufficiente a dimostrare resilienza in un momento di picco eccezionale del bisogno di cure. Il comportamento eroico e le enormi responsabilità che il personale ospedaliero si sono presi hanno sottolineato il valore della dimensione pubblica. Ma in questo contesto, per salvare più vite umane si è chiusa la popolazione e arrestata l’economia. La crisi sanitaria passerà, lasciando dolore e speranza. La crisi economica si supererà con la spesa pubblica. Tutto questo funziona se c’è fiducia. Ma i pregiudizi, mai sopiti, cominciano a riemergere. In parte non sono ingiusti.

Recessione. Singapore ha già visto un calo del 10% della sua economia nel primo trimestre (Bloomberg). La Germania potrebbe frenare del 10% (LeMonde). La Francia calcola che un terzo dell’economia sia ferma in questo momento (NYTimes-Insee). L’Italia è ovviamente in condizioni almeno simili e ha problemi enormi proprio nei settori strategici delle esportazioni e del turismo. Goldman Sachs ha previsto un calo del 24% negli Usa nel secondo trimestre. Una recessione come questa non è normale amministrazione, neppure per un mondo che ha saputo inventarsi le crisi più stupide.

Gli Stati Uniti fanno la prima mossa. Il Senato ha approvato un pacchetto di aiuti per l’economia da 2mila miliardi di dollari. Una cifra che non si era mai vista prima. E i motivi per cui i pregiudizi sembrano giudizi sono già evidenti. Secondo il New York Times, nelle scritte in piccolo del pacchetto di aiuti pubblici all’economia, ci sono soldi in abbondanza per salvare aziende che hanno fatto di tutto per fallire prima del coronavirus come la Boeing e aiuti molto sospetti ai settori nei quali operano le aziende del presidente Donald Trump e dei suoi cari. I soldi pubblici sono sempre un po’ maleodoranti, si direbbe. Ma se gli Stati Uniti sono abituati a pensare prima di tutto ai loro interessi e, senza farsi troppo notare, a scaricare i problemi sul resto del mondo, questa volta lo stanno facendo in modo evidente e senza pudore.

I pregiudizi tra europei. I paesi del Sud, compresa Francia, Spagna, Grecia e Italia, chiedono i “coronabond”, o almeno degli strumenti di indebitamento a livello europeo. I paesi del Nord Europa nicchiano perché non si fidano dei paesi del Sud. I loro giudizi non sono solo pregiudizi, evidentemente. E gli italiani se si guardano in fondo alla coscienza non possono dare loro torto. Il problema è che di fronte a questa enorme crisi, anche il Nord rischia grosso. Quindi sarebbe meglio mettere da parte i pregiudizi e inventare un meccanismo che non sia troppo aperto a corruzione e favoritismi ingiusti per questo o quello. È possibile?

Che cosa dice Draghi. Mario Draghi dice che non se ne esce senza spesa pubblica. E se non ho capito male suggerisce che questa spesa sia organizzata così: non diamo soldi alle persone per i consumi, ma alle imprese. Perché se salviamo i posti di lavoro e la capacità delle imprese di pagare i loro lavoratori, quando la crisi sarà superata riprenderanno a lavorare. Se le lasciamo fallire non rinasceranno facilmente. Per aiutare le aziende lasciamo che si indebitino e poi paghiamo il debito privato con i soldi pubblici. José Gurria, segretario generale dell’Ocse va più o meno nella stessa direzione ma suggerisce di aiutare le aziende usando il taglio temporaneo delle tasse, prestiti a tasso zero, entrata dello stato nel capitale tramite prestiti convertibili. (FT, Draghi: we face a war against coronavirus and must mobilise accordingly | Free to read). Forse occorrerebbe che i soldi andassero anche a cose nuove: è chiaro che occorre difendere i posti di lavoro, ma con quelli si difendono indiscriminatamente le aziende che hanno un futuro vero e quelle che non ce l’hanno, mi sbaglio? Occorre introdurre un meccanismo ulteriore, che valorizzi l’innovazione.

E quindi? Ovviamente molto dipende dalla Germania che ha già stabilito un suo pacchetto gigantesco di aiuti alla sua economia ma che ha un compito di leadership in Europa. Se accetta la divisione Nord-Sud-Est e non guida il percorso, veloce, verso un accordo, avrà la responsabilità di un grande arresto dell’unificazione europea. E perderà il suo strumento principale di influenza sul continente. Ma allo stato attuale non sappiamo che decisioni prenderà. La tedesca Ursula von der Leyen sembra orientata a far valere le opportunità di guidare coraggiosamente ed espansivamente la Commissione. I pregiudizi tra stati non aiutano: la Commissione gode di una sua credibilità, si spera. Un meccanismo nuovo, veloce, solidaristico, concentrato sull’uscita dalla crononacrisi ha perfettamente senso. Se sarà guidato dalla Commissione potrebbe riuscire a diventare un rafforzamento importante per la policy annunciata dalla Commissione, orientata alla cura dell’ambiente e a un minimo di visione di lungo termine per la sostenibilità. Possibile che con un obiettivo così giusto e con la possibilità di gestire un ammontare di denaro davvero enorme, il settore pubblico, guidato da un’istituzione forte e democratica, non possa proprio ottenere un grande successo? I pregiudizi hanno ragione di esserci. Ma la storia non è mai imbrigliata completamente nel passato. Forse. La Commissione ha già avviato un percorso per spendere soldi pubblici a favore dell’innovazione dotata di senso: per le città sostenibili, per la ricerca sanitaria, per la tecnologia di punta. Ma finora aveva pochi mezzi. Almeno una parte importante del pacchetto di stimolo per uscire dalla coronacrisi dovrebbe andare a rinforzare questa azione. Si può fare?

L’Italia. Ha detto che mette in gioco 50 miliardi. E va bene. Come li spenderà? I pregiudizi non aiutano anche in questo caso. Come si può credere a uno stato che continua ad alimentarli ogni giorno? Eppure la fiducia è parte integrante della cura. Speriamo che di fronte al possibile disastro di tutti, gli interessi di ciascuno si mettano al servizio del bene comune. Quello che non si può proprio vedere, in questo momento è un’opposizione che alimenta la tensione e la sfiducia e un governo che non riesce ancora ad aumentare in modo significativo la disponibilità di tamponi per sapere chi è ammalato e chi no. Questo è un aspetto almeno altrettanto importante del confinamento delle persone in casa della cura contro il coronavirus. E per ora da questo punto di vista la situazione è pessima. Ma questa è un’altra storia. La storia in questo momento è come spendere tanti soldi pubblici quanti non si poteva immaginare di avere senza sprecare l’opportunità di migliorare davvero il sistema italiano. Il settore pubblico è fatto di sanità, istruzione, università, centri di ricerca: tutti aspetti fondamentali di qualunque progetto di futuro. Il settore pubblico può servire a migliorare la qualità del mercato con un’antitrust può orgogliosa del suo ruolo e altre autority più forti. Può razionalizzare e modernizzare davvero la pubblica amministrazione. E può aiutare le imprese pensando a quanto futuro hanno da costruire. Si può fare. Ma i pregiudizi più radicati (e purtroppo sensati) sono quelli che gli italiani coltivano su sé stessi e la loro capacità di lavorare insieme.

In questa serie:
Coronavirus. Crisi economica: il privato è politico
Sembra un film di scarsa qualità
Dopo la crisi: resilienza
Studi sul futuro e resilienza
Il destino comune della rete umana
Solo la generosità ci salverà
Coronavirus. Come ne esce l’economia
Coronavirus. Sta per arrivare un fiume di denaro pubblico? Chi lo gestirà? E con quale visione?

1 Commento

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  • Il buon Niklas Luhmann (sociologo con visione sistemica ed autopoietica della società https://it.wikipedia.org/wiki/Niklas_Luhmann ) scrisse un testo nel 2000 con titolo italiano “La fiducia”. https://www.amazon.it/fiducia-Niklas-Luhmann/dp/8815089551/

    Uno stralcio dalla copertina: “La fiducia fa in modo che molte azioni quotidiane siano compiute senza patemi d’animo. Solo così gli individui, potendo fare affidamento su alcune certezze, riescono a dirigere le loro energie psichiche e razionali verso nuove possibilità di l’allargare le proprie esperienze. Non ci sarebbero scoperte né sfide se non potessimo poggiare su qualcosa di sicuro. Passando dal livello micro a quello macro si comprende bene come la fiducia costituisca un elemento strutturale del funzionamento dinamico dei sistemi sociali e ne sia condizione di sopravvivenza. Ma che cos’è esattamente la fiducia? L’analisi che del tema traccia Luhmann si rivela particolarmente illuminante nell’epoca attuale, contrassegnata da una crescente complessità e insicurezza.”

    Il dare e ricevere fiducia è un processo che innesca molti biases e pregiudizi proprio perché attiva i nostri sistemi biologici e psicologici di sopravvivenza. In altre parole, si deve imparare a dare e costruire fiducia in una comunità, non è qualcosa spontaneo fuori dal ristretto gruppo. Per costruire fiducia si deve comunicare molto, risolvere fraintendimenti, ambiguità (anche con se stessi), allinearsi e poi fare un patto. Per certe comunità (e individui) bisogna anche imparare a riceverla, non è scontato.
    La fiducia, frutto di vero dialogo reciproco, crea responsabilità, mentre la fiducia mal fondata crea incomprensione e pregiudizio tra le parti. Il fallimento della fiducia ricade nel tribalismo, nell’integralismo, nella regressione.

    La fiducia non è un lusso, non so se é chiaro. La fiducia è come i tanti sani links di una rete che la rendono più resilente. Non c’è l’opzione se dare o non dare fiducia in qualche forma e misura. Si tratta di imparare in modo graduale a comunicare, a mettere in discussione le proprie credenze e pregiudizzi per evolvere insieme ed essere più forti.

    Si perde tutti se non si investe nella fiducia.

    Mi concedo una veloce riflessione finale generale.
    Incredibile come tutti i temi sulle dinamiche dei sistemi complessi, della resilienza, ecc. che da trent’anni vagano inascoltate nelle università, nelle istituzioni e nelle aziende oggi stiano impattando tutte insieme in modo così drammatico da renderle evidenti a tutti. Speriamo di imparare la lezione questa volta.

    Dobbiamo essere all’altezza della complessità di mondo che ci siamo costruiti e una delle sfide è proprio la costruzione di fiducia.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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