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Dipendenze digitali, educazione e libertà

I figli di Steve Jobs non erano autorizzati a usare l’iPad. I figli di Bill Gates avevano accesso al personal computer in tempi contingentati. Evan Williams, fondatore di Blogger, Twitter e Medium, non dà il tablet ai figli. Secondo Adam Alter, quei grandi della tecnologia ne conoscono anche i difetti. I pericoli. Le piattaforme più popolari online sono progettate in modo da attirare l’attenzione delle persone per indurle a usare quegli strumenti il più possibile. Lo smartphone è la tecnologia persuasiva per eccellenza. Ormai la gente guarda lo schermo del telefono anche 150 volte al giorno, dicono da Facebook.

È una dipendenza? La definizione di dipendenza è tutta da discutere in sedi più autorevoli di questa. Ma le tecnologie persuasive sono fatte in modo da creare aspettative di piacere quando ci si accinge a usarle. Le piattaforme sociali creano aspettative: gli utenti non vedono l’ora di sapere se hanno ottenuto qualche like, se ci sono commenti o condivisioni ai loro post, se gli hashtag che hanno lanciato sono diventati popolari… La formula vincente: sono facili da usare e intercettano le motivazioni degli utenti, creando occasioni specifiche per farsi usare in continuazione.

Ci sono alcuni libri da conoscere in materia:
Adam Alter, Irresistibile. Come dire no alla schiavitù della tecnologia, Giunti O.S., 2017 (versione originale dello stesso anno)
Nir Eyal, Hooked: How to Build Habit-Forming Products, Penguin, 2014 (traduzione italiana Edizioni LSWR 2015)
B. J. Fogg, Tecnologia della persuasione, Apogeo, 2005 (versione originale 2003)

Il progetto di piattaforme persuasiva è composto di elementi ben chiari ai designer. Un comportamento da ottenere, un pubblico da convincere, un’analisi su che cosa impedisce quel comportamento, una soluzione (preferibilmente già testata) che ottiene quel comportamento… Il percorso per convincere le persone è tanto chiaro per i designer quanto apparentemente sconosciuto per la maggior parte della gente. Una volta ottenuto un iniziale successo, il lock-in tecnologico è aumentato dal lock-in sociale (tutti gli amici e conoscenti sono su quella piattaforma) e il risultato è una tecnologia attraente, piacevole, difficile da sostituire. Se l’uso è abbastanza sfidante da non essere noioso e abbastanza facile da non essere ansiogeno, se si riesce a progredire senza che sia mai scontato il successo o l’insuccesso, si avvia il flow di Mihaly Csikszentmihalyi. E la piattaforma ha conquistato il suo pubblico.

Un successo per la piattaforma si può però trasformare in un problema per gli utenti che non riescano a tenere un atteggiamento equilibrato nei confronti di quello strumento.

Per Vivek Wadhwa vale la pena di spegnere gli schermi e lasciarli da parte spesso (Washington Post). Dopo un’esperienza positiva, Facebook riesce a far stare male una quantità di persone che trarrebbero giovamento da una migliore dieta mediatica.

Nel 2007, quando la dimensione sociale della rete era ancora prevalentemente espressa nell’uso dei blog, internet si confrontava alla televisione e si dimostrava capace di ridurre la solitudine, alimentando la speranza che le persone potessero acquisire una consapevolezza dei motivi autentici della felicità: qualità della socialità, qualità dell’ambiente, qualità della cultura. Nessun medium peraltro può essere confuso con un generatore di felicità. E certamente anche internet lo dimostra.

Nella mediasfera, l’equilibrio ecologico è compromesso dalle esternalità negative delle piattaforme oggi prevalenti che funzionano come monocolture dedicate a coltivare attenzione per rivenderla agli inserzionisti pubblicitari. Lo spazio mediatico definito da queste monocolture può essere facilmente attaccato da parassiti chiamati oggi “fake news”, ma che da sempre possono essere definiti generatori di “cavolate” senza qualità.

Una nuova consapevolezza degli effetti negativi della monocoltura delle piattaforme che non si occupano della qualità dell’informazione è necessaria per la salute individuale e per l’equilibro generale nell’ecologia dei media. Ci vorrà un percorso simile a quello che è stato compiuto dalle società industriali per arrivare alla consapevolezza del valore dell’ambiente pulito e della cura del corpo. Ma questa volta dovrà essere un percorso più breve: la conquista di una maggiore qualità dell’informazione è sempre più urgente. La libertà e la felicità sono collegate alla nostra capacità di fare un salto di consapevolezza e passare all’azione: migliorando la dieta mediatica e salvaguardando l’ambiente mediatico con l’introduzione di nuove piattaforme meno banalizzanti.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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