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Alcune letture sui robot

Intelligenza artificiale, robot, macchine che lavorano, studiano, pensano, decidono. Una minoranza di umani si occupa di progettare e produrre queste tecnologie. Una minoranza un po’ più ampia legge e discute intorno a queste tecnologie. Una maggioranza larghissima di persone resta abbastanza al di fuori della discussione. Gli umani stanno dunque decidendo di questioni fondamentali come il lavoro e la produzione – materiale e immateriale – lasciando a pochissime persone la libertà di progettare e scegliere. Il che tra l’altro genera paure e incomprensioni di ogni genere. È chiaro che occorre fare meglio sul piano dell’informazione.

Intanto, segnalo due o tre letture recenti in materia.

Fabio Chiusi ha scritto un lungo pezzo intitolato L’era dei robot e la fine del lavoro. Contiene finalmente in ordine tutti i dati che spesso si incrociano nelle discussioni su robot e lavoro. Contiene anche le argomentazioni principali di pessimisti e ottimisti. Si esce dal pezzo con l’impressione che occorra pensarci molto bene a quello che sta succedendo, perché mentre robot e software di ogni tipo possono facilmente essere adottati al posto dei lavoratori umani, non è altrettanto facile trovare le occupazioni che resteranno appannaggio degli umani.

Sam Byford ha scritto DeepMind founder Demis Hassabis on how AI will shape the future. Sono le convinzioni di uno dei protagonisti dell’intelligenza artificiale. La sua tecnologia ha battuto il campione di Go. Tutto il problema è concentrato sulle tecnologie che invece di essere preprogrammate, riescono a imparare dall’esperienza. Possono cambiare notevolmente le tecnologie di connessione attuali, con assistenti virtuali molto superiori a quelli attuali. Possono aiutare le operazioni della vita quotidiana in mille modi. Ma, nel modo di vedere di Hassabis non c’è quello che tanto preoccupa chi non sta lavorando all’intelligenza artificiale e la guarda dall’esterno: lui non sembra preoccupato che questa tecnologia vada fuori controllo. È lui, l’umano, che la sta creando. E non la vede minimamente in grado di andare oltre il controllo. Questo problema non c’è secondo lui. (L’argomento peraltro affiora talvolta nel contesto di Google: InnovationExploited)

Frieda Klotz scrive Welcome to the cyborg fair e a sua volta costeggia questo problema. Ma in una prospettiva diversa. Non sono le tecnologie ad andare fuori controllo. È la combinazione di umano e tecnologico che sta emergendo e che eventualmente invita a riflettere. La volontà umana di migliorarsi è difficilmente domabile. L’immaginazione corre. La paura non è insensata. Soprattutto quello che sta succedendo è frutto di tecnici che gli altri umani non capiscono. E dunque i secondi non necessariamente hanno fiducia nel lavoro dei primi.

Queste e altre letture valgono il tempo che richiedono. Purché siano condotte con la curiosità di capire i fatti. Siamo in una fase in cui i robot e l’intelligenza artificiale sono ben lontani da poter davvero inserirsi nella società e sostituire gli umani. Come si osservava in una recente inchiesta su Nòva, mancano di esperienza, mancano di senso comune, non conoscono il modo di relazionarsi con la realtà reale… Si sa che l’ideologia tecno-tecnica sostiene che il progresso è talmente accelerato che ogni difetto delle attuali generazioni tecnologiche sarà superato dalle prossime. Ma qui non è solo un problema di tecnologia. Queste tecnologie si calano in sistemi complessi e a loro volta sono generate da sistemi complessi. Chi le progetta segue una sua narrazione. Ebbene: se la progettazione seguisse soltanto la logica finanziaria, ci sarebbero tutti gli elementi per temere che queste macchine sono destinate a sostituire l’umano; ma non è così, non è necessariamente così. Non sarà così se ora, che siamo in tempo, ci informiamo, noi umani, e influenziamo l’immaginazione che conduce tecnici, imprese, società a definire quello che progettano e il suo scopo. Niente panico, ma nemmeno pigrizia. È tempo di farlo.

Sostenibilità, diritti, felicità: questi e altri temi possono entrare di più nel dibattito. L’ecologia dei media può aumentare la consapevolezza delle persone. L’onestà intellettuale dei tecnologi che ci spiegano i limiti delle loro creazioni può diventare un valore più diffuso. L’informazione documentata può diventare più desiderabile. Tutto questo e altro ancora può avvenire ora, per correggere il metodo un po’ banale che ha condotto la relazione tra l’evoluzione sociale e la progettazione tecnologica finora. È tempo che ciò avvenga. E ci sono tutti gli indizi che dicono che sta cominciando ad avvenire.

Vedi anche:
I Dati Uniti d’Italia. E altri appunti per un’audizione alla Camera su industria 4.0

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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