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A chi appartiene la mia identità

Qui si fa un ragionamento un po’ speculativo. Ma almeno è relativamente breve.

Frédéric Filloux (MondayNote) discute in modo articolato sui profili personali in rete. A che cosa servono per le piattaforme private, per gli editori, per le persone. Le loro forme esplicite e quelle implicite. Contengono le informazioni sulle persone, le loro relazioni, i modelli di consumo, le preferenze, le affinità politiche, i gusti letterari e molto altro. È chiaro che sono un valore immenso, quei profili. Sono di fatto le identità delle persone. A chi appartengono?

In pratica, sono stati raccolti dalle piattaforme, prevalentemente. Con il loro lavoro, le loro tecnologie, i loro sistemi incentivanti. Ma sono informazioni che dicono, di fatto, chi sono le persone che usano quelle piattaforme. In un certo senso sono le loro identità. A chi appartiene l’identità di una persona? Verrebbe da rispondere che appartiene a quella persona. Ma è chiaro che così non è: il profilo appartiene alla piattaforma. Filloux si domanda se non dovrebbe essere un valore statale invece che privato, ma si risponde da solo osservando che lo stato, anche uno stato democratico, può essere instabile sul piano della qualità delle garanzie civili che offre ai cittadini. E quindi deve essere qualcosa che appartiene ai privati.

Non necessariamente. Nella Dichiarazione dei diritti in internet approvata all’unanimità dalla Camera dei Deputati italiana, tratta le informazioni identitarie come un valore fondamentalmente appartenente alle persone e che può sotto certe condizioni essere usato dalle piattaforme, ma all’articolo 12 – in modo piuttosto innovativo – chiede alle piattaforme un’evoluzione verso l’interoperabilità. E in particolare: «Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, assicurano, anche nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.»

Questa potrebbe essere la strada. Se il profilo e le informazioni identitarie sono questo genere di tecnologie da rendere interoperabili allora escono dalla proprietà privata completa delle piattaforme, non passano certo allo stato, ma sembrano entrare in un certo senso nella dimensione dei beni comuni. È un’ipotesi. Ma potrebbe generare un chiarimento rivoluzionario nel trattamento dei dati personali: che hanno grande valore per la comunità, per la persona nella comunità, che vanno manutenute dalla comunità, che non dovrebbero essere espropriate da entità private o pubbliche.

Quelle informazioni potrebbero ovviamente essere usate dalle piattaforme private che hanno contribuito a raccoglierle. Del resto, il servizio di certificazione dell’identità che è svolto di solito dallo stato con i documenti è dello stato, anche se l’oggetto della certificazione – l’identità – è del cittadino.

(Andando a studiare il tema con qualcuno che se ne intende si potrebbe immaginare un’infrastruttura simile alla blockchain; con oggetti che contengono le informazioni più personali disegnati in modo impenetrabile, un po’ come sembra immaginare Apple sotto questo aspetto – Cato e EFF; concetto che potrebbe estendersi dai device alle app seguendo il corso del pensiero apparente di Diego Dzodan il funzionario brasiliano di Facebook arrestato per non aver dato informazioni alla polizia che indagava su un utente di WhatsApp – Guardian).

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  • varrebbe la pena di fare anche un’altra riflessione: se i dati personali in rete finiscono per essere pubblici non dovrebbe essere rivista la disciplina della privacy? il soggetto responsabile della gestione di dati personali ha mille obblighi e responsabilità mentre gli stessi dati sono pubblicati in rete! che senso ha?

  • […] Dove ci sta portando la tecnologia? nei cda di importanti investitori in campo farmaceutico siedono algortimi che decidono in quale sviluppo di medicine investire, Google e il Mit di Boston mostrano il video del robot che si rialza dopo che è stato gettato a terra da un uomo, Apple manda a quel paese Fbi rifiutando di mettere a disposizione la tecnologia per un caso di terrorismo, in Brasile viene arrestato il numero due di Facebook per non aver voluto fornire uno scambio di conversazioni malavitose in whatsapp. Noi continuiamo a usare sempre più applicazioni e hardware che entrano nella nostra vita spesso modificando i nostri comportamenti. Anche la proprietà della nostra identità è in dubbio, come ricorda Luca […]

  • Ciao Luca,
    il tema è fondamentale, e mi è sempre stato molto caro.

    A livello tecnologico da un bel pezzo il Semantic Web ha creato uno standard per gestire la portabilità del proprio profilo personale (il vocabolario FOAF, alcune info in questo paper ).

    Per quanto riguarda integrazioni con la tecnologia della blockchain, questo è un progetto interessante (passato nella lista del Project VRM, che invece rappresenta la giusta cornice per un nuovo tipo di mercato, e nuovi intermediari):
    Evernym

    Ovviamente oltre al già famoso Onename (dettagli).

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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