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Paper Problemi editoriali

Problemi editoriali

Un pezzo uscito su Nòva24, Il Sole 24 Ore, l’8 luglio 2012.

«È come se gli editori avessero avuto un fidanzato cattivo per qualche anno». Clay Shirky è uno che riesce a farsi ascoltare, dagli editori, anche quando dice cose che non gradiscono. Ma il più delle volte lo ascoltano gli internettiani che riconoscono, nel suo modo di pensare, una chiave di interpretazione autentica delle conseguenze socio-culturali dei media digitali. I suoi libri, “Uno per uno, tutti per tutti” e “Surplus cognitivo” (tradotti da Codice), hanno messo in luce le opportunità culturali generate dalla collaborazione abilitata dalla rete. E hanno dimostrato come l’idea che gli editori avevano di sé nel contesto mediatico precedente è decisamente obsoleta. Incontrarlo a Ted significa anche potergli chiedere: ma chi era quel fidanzato cattivo?
«Per troppo tempo, i giornali hanno desiderato solo di conquistare inserzionisti pubblicitari e si sono trasformati in agenzie di informazione con alto volume e basso valore aggiunto. Ma il loro modello di costi era insostenibile rispetto al fatturato generato dal lettore. Anche perché quel lettore era casuale: arrivava da un motore di ricerca o da un social network e non si interessava al giornale». Ma tutto questo, gli editori, lo sanno bene. Quello che non sanno è come superare questo modello di business limitativo, che li porta all’ossessione di tagliare inesorabilmente i costi, col rischio di peggiorare il servizio e, alla fine, perdere lettori. Come possono, dunque, uscire da questa spirale? Shirky non spara certezze sul mondo dell’editoria. Sa che tutti i modelli devono essere sperimentati e che la strada per ridefinire il business è ancora lunga. Ma negli ultimi tempi ha visto casi risultati decisamente incoraggianti. «Collaboro a un rapporto sull’editoria americana che uscirà a dicembre. E posso già dire che il modello fondamentale, che potrebbe cambiare la prospettiva, è la membership: non il pagamento per leggere gli articoli, ma il contributo per essere membri del club dei lettori speciali del giornale». La differenza non è così sottile: «Il problema è che il giornale deve farsi pagare dai lettori. E per riuscirci è cruciale il modo di presentare la proposta. Se il giornale si limita a imporre un prezzo per consentire la lettura di quello che ha offerto gratuitamente fino a quel momento, non fa una bella figura. E d’altra parte i lettori casuali non hanno nessuna intenzione di pagare, proprio perché non riconoscono il valore del giornale nel suo complesso. Ma un piccolo insieme di lettori, invece, ci tiene alla durata del suo giornale. Se un editore scopre che un 20esimo dei suoi lettori desidera che il giornale non muoia, ha trovato le basi di un modello di business credibile e sostenibile». A quel punto è quasi fatta. Quasi. Perché il problema non è mettere un muro di sbarramento tra le informazioni e il pubblico, secondo Shirky. Primo perché non si devono perdere i lettori casuali che generano fatturato pubblicitario. Secondo perché sarebbe una mossa contraria a ogni logica internettiana. «Se Ted si fosse comportato come un editore tradizionale, non avrebbe regalato in rete i video delle sue famose lezioni in 15 minuti. E non avrebbe concesso a nessuno di produrre format analoghi al suo. Eppure Ted lo ha fatto e questo ha esteso enormemente la notorietà del suo marchio e l’ammirazione per i suoi contenuti». Il che ha portato un piccolo numero di persone a pagare migliaia di dollari per partecipare alle sue performance. «L’apertura del giornale è fondamentale per farlo esistere nell’esperienza delle persone. Ma tra queste se ne devono trovare alcune disposte a contribuire. E quelle vanno conquistate una per una all’idea di sostenere economicamente il giornale che considerano irrinunciabile e che per loro svolge un servizio dedicato di grande valore aggiunto». E, assicura Shirky, tra i giornali americani che hanno adottato questa strategia, i risultati cominciano a vedersi. Appuntamento all’uscita del rapporto.

Chi è Clay Shirky (1964) è uno scrittore statunitense, docente alla New York University. I suoi corsi e i suoi scritti trattano, tra le altre cose, degli effetti interdipendenti della topologia dei social network e delle reti, e dei modi in cui le nuove forme di comunicazione influenzano la cultura e viceversa. Dal 1996 ha scritto numerose opere relative al mondo di internet e la sua attività di consulenza si concentra sull’affermazione di tecnologie decentralizzate, come il p2p, il web service e le reti wireless che mettono a disposizione alternative all’infrastruttura cablata che caratterizza il World wide web.

Sergio Maistrello pubblica in ebook il suo nuovo libro, Io editore tu rete. Grammatica essenziale per chi produce contenuti, Apogeo.
Sergio è un attentissimo osservatore della dinamica della rete e delle problematiche connesse all’editoria. E non a caso propone un titolo che invita a pensare a una relazione culturalmente piuttosto primitiva tra editori e rete, implicitamente invitando i protagonisti a evolverla, migliorando la propria cultura in materia.
Il libro è veloce e si legge benissimo sia su un lettore che su un cellulare intelligente. Sull’iPhone è un godimento, nonostante le pagine siano piccolissime.
Sergio mi ha chiesto una prefazione. E mi ha dato il permesso di pubblicarla qui.
Eccola:
Gli editori sono in fermento. Internet sta cambiando radicalmente gli scenari del loro business. La tecnologia digitale sta trasformando i linguaggi espressivi e le filiere produttive. Le condizioni a contorno, nell’epoca della conoscenza, stanno mutando e facendo di ogni azienda, organizzazione, gruppo sociale e singola persona, un soggetto potenzialmente in grado di produrre e distribuire contenuti di valore pubblico. In questo contesto, gli editori vedono contemporaneamente uno scenario di crisi e una situazione densa di nuove opportunità. E la variabile essenziale che li conduce a privilegiare il giudizio ottimistico o pessimistico è la loro capacità di costruirsi una competente visione della situazione. E’ probabilmente il primo motivo di interesse per questo libro. Il secondo motivo discende dal fatto che il destino degli editori è importante per tutta l’evoluzione della capacità di generazione culturale delle società.
La storia dell’editoria moderna parte probabilmente all’inizio del Settecento nel momento in cui la corporazione degli stampatori riesce a ottenere il privilegio per ciascun affiliato di poter essere l’unico a pubblicare il libro di un autore con il quale si è messo d’accordo per la gestione del suo copyright. Tecnologia e diritto sono fin dal principio alla radice del business editoriale. In particolare il controllo della tecnologia di accesso ai contenuti, consentiva agli editori di far valere senza particolari problemi anche il loro diritto allo sfruttamento delle opere. Ma le trasformazioni attuali sembrano aver sottratto agli editori il controllo delle tecnologie strategiche e, di conseguenza, la tenuta del sistema del copyright. La leadership dello sviluppo delle tecnologie per pubblicare e distribuire contenuti sta progressivamente ma inesorabilmente passando alle piattaforme online, ai motori di ricerca, ai servizi di vendita di libri e giornali in rete, alle aziende che producono computer, tablet, cellulari, lettori dedicati alla lettura e così via. In qualunque business, l’impresa che non ha alcun controllo sulla tecnologia fondamentale per lo svolgimento del business rischia di essere marginalizzata.
L’impresa che non governa la sua tecnologia può superare con successo il rischio di perdere quote di mercato se conserva in qualche modo una relazione privilegiata con il suo pubblico o con i suoi fornitori. E indubbiamente i marchi e le testate aiutano gli editori a resistere nel cuore del pubblico, mentre possono conservare un’attrattiva nei confronti degli autori se riescono a convincerli di essere ancora il miglior interlocutore per generare reddito con il loro lavoro. Ma entrambe le difese sono superabili.
La struttura del mercato editoriale sta cambiando radicalmente. Un tempo la scarsità fondamentale era sotto il controllo dell’offerta: ciò che era scarso era lo spazio per la pubblicazione. Oggi, su internet, quello spazio è illimitato, mentre la scarsità fondamentale è sotto il controllo della domanda: ciò che è scarso è, prima di tutto, il tempo e l’attenzione del pubblico. Sicché, nel mercato editoriale, la domanda controlla le fonti del valore mentre l’offerta deve conquistare il suo spazio centimetro per centimetro. Contemporaneamente, nella relazione con il pubblico, gli editori si trovano di fronte nuovi agguerriti competitori, spesso dotati di marchi importanti e meglio posizionati sul piano tecnologico: quelli dei motori di ricerca, quelli dei negozi online, quelli dei produttori di device. Inoltre, molti ex inserzionisti pubblicitari sono partiti alla conquista del tempo e dell’attenzione del pubblico direttamente su internet senza la mediazione degli editori. E del resto, anche per gli autori stanno emergendo molte e interessanti opportuità per valorizzare le loro opere che a loro volta non passano per la mediazione degli editori.
Il primo capitolo di chiunque operi nel business editoriale diventa la dimostrazione dell’unicità del suo servizio a vantaggio del pubblico. Segue, subito dopo nella scala di priorità, la riconquista di una forma di controllo della tecnologia. E in terza posizione c’è la rigenerazione della sua relazione con gli autori. In tutti i casi si tratta di fare un salto di qualità culturale: le vecchie soluzioni e le inveterate abitudini semplicemente non funzionano più: il salto culturale deve condurre a comprendere non come controllare ma come servire il pubblico, a trasformarsi da passivi fruitori ad attivi innovatori della tecnologia, a passare da rentier del copyright a promotori e valorizzatori dell’accesso alle opere degli autori. Si tratta di salti culturali che, spesso, appaiono troppo alti per gli editori troppo tradizionali. E che quindi favoriscono in certi casi i nuovi entranti nel business.
Sta di fatto, che il pubblico cerca ancora le funzioni fondamentali che in passato erano svolte solo dagli editori, per scegliere a che cosa dedicare il tempo, per riconoscere autorevolezza e credibilità agli autori, per accedere in modo comodo e a un prezzo giusto alle opere. Le protezioni che favorivano gli editori nello sfruttamento di queste funzioni non ci sono più, ma le funzioni hanno ancora valore. E il riconoscimento di questa opportunità potrebbe rivelarsi la spinta decisiva per gli editori a rinnovarsi profondamente, per sincronizzarsi con la storia attuale e allo scopo di scrivere la storia futura.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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