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La Telecom Italia e le sue ossessioni

Internet delle cose. Intelligenza artificiale. Big Data. Fintech. Un nuovo enorme spazio di business e di crescita si affaccia all’orizzonte delle aziende tecnologiche, contaminando settori tradizionali e cambiando il peso degli attori. Startup e grandi imprese sono coinvolte. Grandi dilemmi si annunciano per i dominatori del passato e grandi sfide si preparano per gli innovatori. In questo constesto, occorre connettività e intelligenza. I giochi fatti nei mondi economici internettiani finora non sono necessariamente la premessa del successo nel nuovo contesto. «È molto raro che il dominatore di una fase della tecnologia dell’informazione lo resti nella fase successiva» diceva, con competenza, Bill Gates. 

La Telecom Italia ha un potenziale di crescita in questo contesto. Ma dovrebbe superare le ossessioni della proprietà e della finanza per passare decisamente a occuparsi di innovazione. Che tra l’altro sarebbe il migliore dei modi per uscire dall’ossessione finanziaria. Non che non faccia nulla, ci mancherebbe: nella vastità delle sue operazioni continua a investire. Ma siamo certi che stia facendo tutto il possibile?

Innanzitutto, può contribuire sul serio a connettere il paese, senza se e senza ma. E poi può ritagliare per l’Italia servizi a valore aggiunto veri. Internet delle cose ha bisogno di connettività e gestione: probabilmente le mega-nicchie che si possono inventare in questo settore sono enormi in un paese manifatturiero come l’Italia. Big data ha bisogno di un centro propulsore per mettere insieme i dati che vengono dai molti settori che generano dati, garantendo privacy e valorizzazione. Intelligenza artificiale, semantica e robotica non sono male in Italia: possono essere messe al servizio delle imprese. Tutto questo avviene già, ovviamente, ma senza un leader dalle dimensioni della Telecom Italia: che resta distratta dalle sue beghe e attraversata dai suoi raider.

Un’azienda come la Telecom Italia può fare la differenza. Nel bene e nel male. Per il paese. Perché guadagna se guadagna il paese. Non sarebbe altruista da parte della Telecom Italia lanciarsi davvero in questi investimenti al servizio dell’ecosistema: sarebbe il massimo dell’egoismo. Perché semplicemente si salverebbe e crescerebbe. Un piano del genere forse sarebbe persino un’idea per rilanciare il ruolo di alcuni manager attuali. Magari trovando il supporto di un investitore industriale. Perché non tentare con decisione?

E invece le sue ossessioni – eredità dei boiardi, dei conquistatori privati senza soldi che l’hanno squassata, dei manager che l’hanno portata avanti senza superare i limiti posti dai padroni – la bloccano, frenano, distraggono. Continuando a pensare in termini di chi comanda, chi fa gli acquisti, chi parla col governo, chi va sui giornali o sui social network, concentrando la propria amministrazione in funzione dei conti degli azionisti, si condanna alla fine.

Sì, perché l’impensabile può avvenire. Sappiamo che il nuovo maggiore azionista dice di non avere nessun preconcetto. Ma se non emerge subito un piano industriale che sia orientato a creare valore reale interpretando le occasioni poste dal nuovo balzo tecnologico che abbiamo davanti, servendo l’ecosistema dell’innovazione italiano, prendendo una piccola fetta di ogni transazione e non cercando di mangiarsi tutta la torta, gli azionisti decideranno di vendere a pezzi la Telecom per fare qualche profitto. Vendere il Brasile. Poi vendere a pezzi l’Italia. Ad aziende che sono orientate a servire altri ecosistemi, prima del nostro. Imho.

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  • Per carità, Telecom Italia ha perso molte occasioni, cercando di inventare mercati che non c’erano (la Tv ai tempi du Ruggiero, per es.) e trascurando quelli che c’erano. Per es. ancor oggi se da privato voglio una PEC non me la danno. A nessun prezzo. E’ verissimo che dovrebbe cercare di usare la rete per portare nuovi servizi, ma se la logica è quella di sopportare i rischi senza avere i margini, chi glielo fa fare?
    I problemi di Telecom inconinciarono con l’acquisizione a debito di Tim, ma tutta la finenza e la consulenza allora diceva: non tenete i soldi: indebitatevi e “fate leva”. Oggi in Italia Telecom ha un’Ebitda margin “domestic” dell’ordine del 45%, che gli altri operatori se lo sgonano (il Brasile è a 26%, altro che “gioiello”). Potrebbe fare di più, chiaro, ma che fanno quelli che (Fastweb, Vodafone, Wind) tre anni fa avevano promesso “Fibra per l’Italia2 con 2,5 miliardi di investimenti con 15 città subito e 500 poi?
    Telecom avrà le sue colpe, ma che fanno quelli nella sua stessa condizione? In Francia, non ci sono le guerre di religione nostre, e vanno avanti. In Germania il governo ha chiesto l’ok per 3 miliardi nelle sole zone bianche sul rame VDSL, e non “sparano” 6 miliardi per portare la fibra con i soldi del contribuente per far concorrenza ai privati. Ed è la Germania. Nella mia piccola esperienza, è una settimana che cerco di poetare a termine una richiesta online con l’Inps, dove il programma non funge e il call center nemmeno. Forse meno stato nelle reti e più stato nell’e-government sarebbe spendere meglio i soldi. Ma c’è nostalgia di Iri (che, ha fatto anche cosa buone), anzi di Colbert, padre dell’interventismo statle.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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