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I tedeschi alla guida della critica contro Google e piattaforme americane. Con qualche contraddizione

Come segnalato da Quintarelli, il Financial Times ha rivelato l’esistenza di un paper di 11 pagine scritto da alcuni ministri e personalità tedesche, con in testa Sigmar Gabriel, ministro per gli affari economici, che propone il concetto di neutralità delle piattaforme. Un’estensione dell’idea di neutralità della rete alle piattaforme come Google, Facebook e così via. Si tratta di una proposta che si inquadra nell’approccio antitrust ai problemi della rete. E che indubbiamente fa uso di un concetto fondamentale per internet anche se lo porta in una dimensione nuova (anche se esistono precedenti di questa proposta, non esistono applicazioni specifiche).

[hang1column width=”170″]Sigmar_GabrielSigmar Gabriel, foto Wikipedia[/hang1column] La posizione delle personalità tedesche sarebbe più credibile se il loro paese difendesse con coerenza anche la neutralità della rete. Usare l’idea di neutralità per le piattaforme (che sono americane) e contrastarla nelle telecomunicazioni (che sono europee) appare vagamente insensato. Prima occorre la neutralità della rete e poi casomai si può parlare del resto. E invece proprio la cancelliera Merkel è contro la neutralità della rete (Verge)

Gli americani peraltro si tuffano in questa questione con tutte le loro armi di informazione e disinformazione. Sul New York Times si paventa la diffusione di un pregiudizio antitedesco per il prossimo futuro che si ritorcerà contro l’ecosistema dell’innovazione del paese europeo. Su Finance Townhall si contrattacca dicendo che sarebbe assurdo immaginare che la Gm sia obbligata a fare pubblicità alla Toyota. Si tratta di spostamenti dell’asse logico che ormai fanno parte del sistema della comunicazione, anche se si propongono come informazione (per inciso, si tratta di una “rovina del senso” piuttosto diffusa ovunque e, come sappiamo, l’Italia ne è un laboratorio mondiale).

Gli americani hanno modo di polemizzare. E hanno un sistema paese che lo fa in modo sistematico, come dimostravano le lettere dei deputati americani al Parlamento europeo il giorno prima del voto sulla risoluzione visionaria che ha definito sul piano della politica digitale la nostra istituzione.

Quello che penso è che solo un approccio attento all’insieme dell’ecosistema dell’innovazione e dell’informazione può definire un percorso sensato per il lungo termine. Che cosa vuol dire in pratica? Vuol dire che le decisioni in materia di internet vanno prese con la stessa mentalità delle decisioni che si prendono quando c’è di mezzo l’ecosistema naturale. Vuol dire che se si conosce come funziona l’ecosistema si sa trasformare la foresta amazzonica in una monocoltura di caffè avrebbe conseguenze sul prezzo del caffè, sull’occupazione dei lavoratori, sui profitti dei proprietari, ma anche sulla possibilità di sopravvivenza della vita sulla Terra. Di solito queste decisioni si prendono in modi diversi: con una costituzione che regola il sistema decisionale in modo che nessun potere possa prevaricare il diritto di tutti; oppure, con una varietà di accordi tra molti portatori di interessi che insistono sugli stessi beni comuni e che li manutengono perché non prevalga l’interesse di una parte sull’interesse di tutti; di certo, un ecosistema vive meglio nella biodiversità e quando l’impatto dell’innovazione crea più opportunità per tutti e non solo per una componente. Le conseguenze di questo approccio sono altrettanto diverse. Ma una su tutte è chiara: la neutralità della rete è importante per salvaguardare l’innovazione futura, la libertà di espressione, cioè le principali caratteristiche generative dell’internet.

Ebbene, questa logica si estende anche alle piattaforme? Supponendo che si accetti di prendere in considerazione soltanto le piattaforme che chi usa internet è virtualmente obbligato a usare (piattaforme che assomigliano a utility) è la neutralità il concetto chiave? Nell’ambito della Commissione per i diritti in internet si è preferito parlare di interoperabilità. La neutralità delle piattaforme, viene da pensare, sarebbe come obbligare le aziende private a fare soltanto “corporate social responsibility”. Mentre l’interoperabilità ha una storia più comprensibile per le tecnologie di rete, come da tempo avviene nelle telecomunicazioni, e ha l’effetto di aprire i mercati delle applicazioni e delle tecnologie alternative. In generale, si tradurrebbe in una standardizzazione di alcune tecnologie fondamentali, come i marketplace e i sistemi di identificazione per esempio; inoltre, potrebbe aprire la strada a un uso comune e non proprietario della raccolta di dati sui comportamenti degli utenti che metterebbe in grado i centri di ricerca sui big data di operare senza in nulla ridurre la capacità dei privati di innovare e restare in testa ai loro mercati non in base a una rendita di posizione acquisita ma in base al continuo avanzamento tecnologico. Sta di fatto, che la neutralità della rete resta il fondamento di tutto: anche un’azienda che abbia il massimo del controllo di un mercato che ha contribuito a inventare può temere l’innovazione altrui in un contesto neutrale, mentre se l’accesso fosse regolato dalle compagnie esistenti, questa possibilità competitiva sarebbe estremamente ridotta. La neutralità della rete è una sorta di antitrust preventivo contro il potere dominante degli esistenti sull’innovazione dei nuovi soggetti in competizione. Imho.

Vedi anche:
Google, Amazon: la geopolitica dei dati e l’efficienza dei paesi
Economist e monopoli internet
Europa avanzata a parole e indietro nei fatti
Chiose al Parlamento europeo
È possibile la neutralità delle piattaforme?

E Webeconoscenza: non è il nostro turno

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  • La neutralità delle piattaforme è molto più importante di una completa neutralità della rete, sia per i diritti dei cittadini che per l’economia dell’Europa.
    E’ come preoccuparsi più di un cartello che pratica un ritardo su alcuni giornali (non neutralità rete) quando c’è un forte cartello di 2 attori che è proprietaria di tutti i giornali.
    Go Angela!

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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