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Equivoci sulla bozza di Dichiarazione di diritti in internet

Le critiche sulla bozza di Dichiarazione di diritti in internet sono numerose. Spesso basate su pregiudizi. Talvolta su giudizi fondati. Ma quello che conta è che si tratta di una bozza. Sulla quale c’è una consultazione aperta. Chi ha critiche pregiudiziali non avrà certo molto da proporre, se non la speranza che non se ne parli. Chi ha critiche fondate potrà invece contribuire a cambiare la bozza per farla diventare più giusta.

Ma anche i pregiudizi contano e sono interessanti per una riflessione. Sembrano evocati soprattutto da tre fattori: dal linguaggio usato per la bozza, dal suo orientamento in favore dei diritti e non inerte di fronte al mercato, forse anche dai componenti della Commissione di studio.

Il linguaggio è forse il problema di “interfaccia” più rilevante perché non suggerisce lo stile entusiastico e veloce (o alternativamente reattivo e sprezzante) che spesso si usa nel contesto delle dichiarazioni su internet. È sicuramente un problema. Peraltro chi critica la bozza sulla scorta di una visione del mercato come autoregolamentatore principe dimentica che sia il discorso sui diritti umani che quello del mercato sono narrative settecentesche che si confrontano da secoli e continueranno a farlo: il risultato del confronto è più equilibrato della eventuale vittoria unilaterale di una delle due narrative. Sui componenti va detto che la bozza di Dichiarazione è stata scritta da una Commissione di studio nella quale nessuno ha votato nulla ma tutti hanno contribuito con le loro opinioni in uno stile pragmatico orientato a trovare un consenso. Quello che non si riusciva ad affrontare in questo modo è stato rimandato. Sta di fatto che la Commissione non è stata unanime. E la bozza è sempre stata considerata da tutti un risultato provvisorio adatto a provocare un ragionamento più allargato in consultazione.

Si spera dunque nella consultazione. E non nel silenzio dei critici pregiudiziali.

Ma va detto, anche allo scopo di orientare metodologicamente la consultazione, che il discorso affrontato dalla Commissione non è mai stato orientato a regolare internet. Casomai a regolare chi vuole regolamentare internet. Lo stato in primo luogo. Se valesse la bozza, lo stato non potrebbe più introdurre regole su internet senza una valutazione di impatto digitale. Cioè in modo unilaterale e basato su qualche ideologia anti-internet parziale e disattenta al contesto internazionale ed ecosistemico. Ma la bozza è consapevole anche del fatto che una parte importante delle regole di internet sono imposte da piattaforme private. E ad esse si chiede essenzialmente la massima lealtà possibile nei confronti degli utenti.

Ma, insomma, tutto questo è solo la bozza: la consultazione aspetta chi la possa migliorare.

Vedi anche:
Intervista a Rodotà
Ricostruzione di Fabio Chiusi
Quattro tesi di Antonio Casilli

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  • […] Comunque, questa legge non sarebbe passata, a mio parere, se la bozza di Dichiarazione dei diritti in internet fosse in effetti una regola. Perché quella Dichiarazione avrebbe dato voce al diritto dei cittadini a una legislazione equilibrata su internet, attenta all’impatto non solo diretto ma anche indiretto delle novità normative. (Vale da esempio di quanto si diceva prima sugli equivoci intorno alla bozza di Dichiarazione). […]

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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