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Apple, Google, tecnologie di rete, valore aggiunto…

E’ difficile tenere a lungo in piedi un modello di business che faccia elevati margini di profitto a meno che non si sia un monopolista. Ci sono molti modi per avere un monopolio e non tutti sono sbagliati (cioè protetti dallo stato).

Se per esempio un’azienda è la prima a creare una nuova categoria di prodotto e non ha concorrenza è monopolista per un certo tempo. Così come se si produce una tecnologia di rete che molti utilizzano, di fatto si raggiunge una posizione di monopolio che è difficile intaccare.

Ma le due situazioni sono molto diverse. Non sempre gli innovatori riescono a tenere il mercato che hanno creato. Spesso anzi sono inseguiti e superati. E chi usa l’innovazione altrui in modo più intelligente sul piano della costruzione di un lock-in ha anche un modello che dura di più nel tempo. Non si riesce sempre a far bene entrambi i mestieri.

Microsoft ha inseguito sul piano del prodotto ma è riuscita a ottenere un effetto-rete di grande durata: ha ancora le caratteristiche del monopolista di fatto nei pc. I suoi problemi con l’antitrust non si sono verificati sul suo specifico terreno, ma si sono manifestati quando ha tentato di abusare della posizione dominante in un mercato per conquistarne altri.

Google è stata un po’ tutte e due le cose. Ha conquistato con l’innovazione nei motori di ricerca la sua posizione straordinaria nella gestione delle informazioni. Ha inventato poi una nuova interfaccia mobile con le mappe connesse a internet. Quanto ai video ha perso sull’innovazione ma ha comprato la rivale YouTube. La sua tecnologia di rete più redditizia è ovviamente il sistema di gestione della pubblicità, ispirata originariamente da altri. Nei cellulari ha inseguito ma è riuscita a riconquistare terreno e a costruire il suo effetto-rete anche sul mobile. Anche per Google l’antitrust interviene in casi che si avvicinano – secondo l’accusa – all’abuso di posizione dominante.

Apple ha sempre puntato di più sulla prima strategia. Ha creato nuove categorie di prodotto. Prima il Mac. Poi lo smartphone. Poi il tablet. E su quelle innovazioni ha conquistato una capacità di fare profitto straordinaria (soprattutto negli anni Duemila). Il tentativo di costruire un lock-in è stato basato su una forma di effetto-rete interno alle sue tecnologie, all’epoca del Mac. Poi nel tempo di internet ha costruito anche negozi speciali online che tenevano in piedi il lock-in per la musica e per le applicazioni, ma in qualche modo sempre puntando su una sua “autorialità” tecnologica che non consentiva completa compatibilità con altre tecnologie, riconosciuta dalla fedeltà di brand. In questo modo, inseguita si difende, per un po’. Ma poi per ripartire con il ciclo deve trovare una nuova innovazione.

Oggi è stato il giorno giusto per capire se ci può riuscire ancora una volta. Pagare col telefonino o l’orologio e l’impronta digitale. Il nuovo orologio con funzioni per il fitness. Il display che sente la pressione. Impressioni. Si dovrà approfondire il tema Apple Pay – potenzialmente importantissimo – in relazione alla diffusione di negozi attrezzati. Si vedrà l’anno prossimo per l’orologio. La funzione fitness acchiapperà, probabilmente: ci vuole un motivo forte per tornare a mettersi qualcosa al polso dopo anni. Comunque non è bello che abbia bisogno dell’iPhone (ma non si poteva usare il cinturino per mettere la sim e un po’ di aggeggi in più?). Si direbbe che questa innovazione non sia come l’iPhone ma come l’iPod: cioè non crea una nuova categoria di prodotto ma tenta di mettere ordine in un mercato interessante, molto affollato, senza un leader culturale.

Quanto a noi, secondo me, dobbiamo rispettare il profitto che gli innovatori si aggiudicano nel periodo che trascorre tra il momento in cui inventano una nuova categoria di prodotto al momento in cui, inseguiti, se lo vedono erodere. Ma ci dobbiamo porre delle domande sulla strategia usata per difendere l’innovazione fatta in passato attraverso soluzioni che puntano su una forma di lock-in. Sempre rispettando gli innovatori e il profitto che fanno creando nuovi “mondi”, dobbiamo riuscire a stabilire in che modo sostenere il valore dell’interoperabilità che ha reso il web tanto interessante e il valore della net neutrality che ha fatto di internet la tecnologia fondamentale a supporto di chi innova senza chiedere il permesso. Non c’è contraddizione intorno a questi valori in un’ecologia dei media sana e generativa. Imho.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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