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Più importante dell’Ilva

Stavo riflettendo… Si stanno di nuovo accendendo i riflettori sulla policy per la filiera delle startup. A Milano, in Emilia Romagna, nel Lazio, a Torino, nel Veneto, in Puglia e in realtà un po’ dappertutto ci si pongono domande su come accelerare la creazione di nuove imprese innovative. Si parla di educazione, di finanziamenti, di exit, di internazionalizzazione. Si pensa agli ecosistemi.

Ma resta difficile valutare una misura del successo. Raggiungibile. D’impatto.

Supponiamo di arrivare presto a ventimila occupati nelle startup innovative (non è impossibile se sono quasi duemila e potrebbero arrivare a occupare dieci persone l’una). Supponiamo che la filiera delle startup arrivi a essere considerata da tutti strategica per il sistema economico italiano (non è impossibile visto che tanti opinion leader, ragazzi, imprenditori, finanziatori, esperti lo dicono e visto che la strada dell’innovazione è tanto oggettivamente importante per settori che devono accelerare di fronte al cambiamento dal turismo alle macchine per l’industria, dalle banche all’editoria e così via). Supponiamo che la filiera delle startup si presenti come poco o punto inquinante. E che abbia un indotto significativo in servizi e altro.

A queste tre condizioni, raggiungibili, dovremmo ammettere che la filiera delle startup apparirebbe immediatamente come una realtà economica più importante dell’Ilva.

Oppure, tabù, più importante dell’Alitalia.

Sarebbe uno svelamento. La cui conseguenza sarebbe chiara: una concentrazione del governo, dell’opinione pubblica, dell’imprenditoria sulla filiera delle startup uguale o superiore a quella che ha meritato l’Ilva. Che è importante ci mancherebbe. Ma con quella dimensione di importanza.

Se le startup nell’insieme sono viste come più importanti dell’Ilva si passa da un frame orientato alla conservazione a un frame orientato alla costruzione e all’innovazione. Senza fuffa. Con i fatti. Imho.

ps. Alla lunga saranno molto più importanti le startup, intendiamoci. Ci vogliono anche le grandi aziende, certo, eccome: ma per vederle innovare e non chiudere avrebbero anche loro bisogno di buone startup, no? È un ecosistema anche per loro, grandi e piccoli, innovativi e no. Una misura sintetica del valore della filiera delle startup è possibile?

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  • Pochi milioni di venture e seed sparsi in migliaia di micro imprese non porteranno a niente non c’è una politica industriale nazionale competente che leghi tali energie a rilancio di grandi aziende italiane su nicchie di competitività globale presidiabili.

  • E se mia nonna avesse le ruote potremmo potremmo passare da un frame orientato a considerarla una persona ad un frame orientato a considerarla una carriola.

  • Manca l’aggancio fra le startup e le grandi aziende italiane che possano essere interessate ad essere regolari clienti, rivenditori o acquirenti. Offrire direttamente a end use b2c o b2b pone tali startup in una selvaggia competizione globale e nazionale senza uscita. Inoltre non vi è una competenza diffusa e di alto livello (tech, ux) su un set di strumenti di sviluppo cross piattaforma che permetta di gestire ed evolvere efficientementemente un’offerta multi piattaforma e multilingue. Ci vorrebbe un visione e strategia industriale verticale, con forte investimento di 1 o poche grandi aziende italiane (e parecchi soldoni pubblici per fargli venire il coraggio) attorno alla quale sviluppare iniziative globalmente competitive.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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