Home » innovazione » Smart a Trieste – Appunti
innovazione

Smart a Trieste – Appunti

Discussione sul termine “smart” nella prima sessione di State of the Net 2014. Google Trends dimostra che si tratta di un concetto sempre più utilizzato e dunque ricercato.

smartGT

Il primo picco nell’utilizzo è nel 2008, quando Obama fa campagna per una “digital smart grid” destinata a migliorare l’utilizzo dell’energia elettrica. E quando Sam Palmisano all’Ibm inaugura la campagna “smarter planet”. L’inizio del boom dell’uso del concetto di “smart” è dunque un inizio basato sulle pubbliche relazioni e le campagne promozionali. Ma contiene da subito il connotato fondamentale: è “smart” qualcosa che contiene le funzionalità consentite dal digitale e dunque ha le capacità abilitate dalla rete.

Da quel momento la ripresa di ricerche su Google del termine “smart” avviene con il rapimento di Elisabeth Smart nel 2011. Ma prosegue e cresce, almeno del 30% fino al 2013, grazie al fatto che l’idea di rendere “smart” qualcosa diventa un progetto diffuso: smart grid, smart city, smartphone… ci sono persino purtroppo smart weapons e addirittura una “smart Italy”. Insomma, il concetto supera i confini nei quali lo si userebbe se non si avesse una fiducia molto grande nelle potenzialità modernizzanti del digitale e della rete.

Ma “smart” non può essere soltanto un sinonimo di “digitale”. In inglese è un equivalemente di intelligente ma con qualche sfumatura speciale. È un po’ più “furbo” che ampiamente “intelligente”; contiene un elemento di “eleganza”, di “ironia” e soprattutto di “impertinenza”. Quando è applicato nel contesto dell’informatica sembra significare che il computer tende a sembrare umano, in un certo senso ripercorrendo le idee di Alan Turing. Ma nel contesto umanistico, come testimoniano le preoccupazioni espresse nel 1953 da Giuseppe Ungaretti, questo progresso della macchina fa pensare a un cambiamento parallelo del modo di pensare degli umani: mentre la macchina si avvicina all’umano, osserva Ungaretti, tende a superare ogni immaginazione umana. Per Ungaretti questo può rivelarsi una sfida gigantesca per il genere umano: se la forza della macchina supera l’immaginazione umana, allora gli umani tenderanno a pensare come la macchina. E sappiamo come in questo periodo altri condividano la stessa preoccupazione, resa particolarmente popolare da Nicholas Carr. Interessante osservare che mentre Carr sostiene che Google abbassa la nostra capacità di memorizzare e Simon Head in Mindless pensa che la parcellizzazione del lavoro resa possibile dalle tecnologie digitali peggiori la capacità mentale degli umani, Gary Small, neuroscienziato a Ucla, ha fatto notare che chi usa internet è in generale più capace di prendere sviluppare ragionamenti complessi.

Non si può immaginare che da questo dibattito si esca presto. Ma si possono proporre alcune indicazioni per discutere sul concetto di “smart” applicato a situazioni nelle quali si fa uso delle opportunità offerte dalle tecnologie digitali.

Si parla di tecnologie digitali come abilitanti l'”intelligenza collettiva”. Ma l’intelligenza collettiva supera l’intelligenza individuale? Probabilmente si applica a situazioni differenti. E la discussione è ampia. Ma si può dire che una rete è “smart” se aiuta ognuno a superare i propri limiti.

Si parla di tecnologie digitali come soluzioni. Ma si può dire che quelle soluzioni possono essere “smart” solo se risolvono problemi intelligenti. L’efficienza non può essere da sola capace di qualificare una cosa come “smart”.

Forse è più probabile che una cosa digitale sia “smart” se è anche “sostenibile” e se è aperta per ulteriori miglioramenti. Perché una cosa digitale è “smart” se migliora condizioni della vita analogica. Se risponde alla scarsità di tempo e allo spiazzamento che viviamo nello spazio gigantesco che è stato creato dalla globalizzazione. Se migliora l’accesso alla conoscenza su come stanno le cose per tutti e se per esempio i big data che genera sono disponibili in modo aperto. Se facilita l’innovazione senza che chi la propone debba chiedere il permesso, come garantisce per esempio la net neutrality. Se rispetta l’equilibrio tra l’intelligenza collettiva e la libertà individuale di proteggere i dati personali e di esprimersi. Se aiuta la collaborazione in un contesto civico.

Evidentemente, in questo senso, una tecnologia digitale consente cose “smart” se è gli umani comprendono le macchine ma non pensano come le macchine. Ma si può anche aggiungere la tecnologia digitale più “smart” è probabilmente l’internet. Tutto il resto è applicazione e interpretazione.

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

Rispondi a Anonimo Cancel reply

  • “smart” È pura fuffa. Ogni disquisizione sul termine è un mezzo di sua legittimazione come non fuffa, e quindi ancor più fuffa. Come lo è il 95‰+ degli articoli e post tech in Italia. Situazione disperata. Venture e startup nel Lazio è 10m euro l’anno, di cui maggior parte mero Pr di grandi aziende, e non si parla di altro…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi