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ALLA FACCIA DELL’FBI. Facebook e face recognition a 60 minutes

Un video di 60 minutes parla di riconoscimento facciale. È stato pubblicato il 19 maggio scorso. Quasi un mese prima dello scoop di Guardian e Washington Post sulla storia dei servizi americani che spiano i server di Facebook, Google, Apple, Microsoft e altre piattaforme giganti. Il video dice che la difficoltà del riconoscimento facciale è avere un database abbastanza ampio di facce per poterle mettere a confronto con le immagini delle persone che si vogliono riconoscere. Al decimo minuto, il video mostra un’intervista con un funzionario dell’Fbi. E vale la pena di guardarla.

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In sostanza, il funzionario dell’Fbi dice che il loro riconoscimento facciale è limitato al database delle persone che hanno una storia giudiziaria. L’intervistatrice chiede se l’Fbi non potrebbe prendere le immagini pubblicate volontariamente dai cittadini su Facebook e Linkedin. E il funzionario risponde che anche se non è vietato, senza autorizzazione l’Fbi non lo fa: “avremmo una fila di avvocati fuori dalla porta”. Deve essere per forza una coincidenza. Ma che strana coincidenza. Per una faccenda così piena di segreti.

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  • L’immigration americana da 10 anni scatta foto e prende le impronte digitali a tutti quelli che passano da un aeroporto americano.
    L’aspetto meno divertente è che questo accade anche a chi fa scalo tecnico di mezz’ora diretto ad altre destinazioni. Di fatto non si dovrebbero nemmeno far scendere i passeggeri dall’aereo ed invece fanno scendere tutti, fanno loro passare l’immigration e li fanno risalire. Mi è successo per andare in Messico.
    Hanno preso le mie impronte digitali e la mia fotografia, ma non sono nemmeno entrato in america. E di certo non ho avuto problemi con la legge.
    Bella panzana, quella degli avvocati… di fatto a poco a poco stanno schedando miliardi di non-americani.
    E gli Americani? Li schedano anche, suppongo?

  • Paradossalmente hanno più possibilità Zuckerberg o Google di ricondurre un viso ad un’identità che l’FBI…e nonostante quanto si parli male di queste Web corporate, preferisco ancora essere schedato come prodotto, piuttosto che come un potenziale fascicolo…

    • Il punto è che questi due tipi di database, quello dell’FBI e quelli delle grosse corporate, di recente sembra che vengano incrociati con una certa facilità.

  • […] Big Data è Big Business e Big Government. Se ne sono accorti tutti dopo la mega valutazione di Facebook, poco più di un anno fa, quando il social network si è quotato in borsa: quella valutazione, che allora era attorno ai 100 miliardi (100 anni di profitti al livello attuale) era dovuta al grafo sociale costruito da Facebook gestendo i grandi insiemi di dati regalati al social network dagli utenti. E se ne sono accorti tutti dopo che è venuto fuori che il governo americano usa i metadati registrati nelle grandi piattaforme internettiane americane per condurre la sua guerra contro il terrorismo e per garantire la sicurezza del paese. (Vedi: Per un pugno di miliardi di dollari; Alla faccia dell’Fbi) […]

  • La cosa veramente paradossale è che le leggi a tutela della Privacy sono sempre più severe ma siamo noi “utenti” che volontariamente forniamo una montagna di nostri dati alla rete, concedendo-spesso inconsapevolmente – il relativo consenso. Ogni volta che scarico una App sul telefonino, mi viene chiesto di fornire l’accesso a un sacco di informazioni “personali” (posizione, lista di amici, ecc ecc) e io dico di sì, anche se non ho la più vaga idea di cosa questo comporti. Bisognerebbe che qualcuno sorvegliasse per limitare questo tipo di richieste allo stretto necessario per far funzionare le APP. Io ho la sensazione che ci venga richiesto di fornire un accesso molto più ampio a tutta una serie di informazioni che nulla hanno a che vedere con il funzionamento delle APP. Se poi parliamo di FB, si apre un altro mondo. Una volta ho letto il “disclaimer” sulla privacy e ho preso paura. Dico solo che qualsiasi commento fatto su una pagina pubblica è di dominio pubblico appunto, cioè visibile a tutta la rete. Quindi chiunque potrebbe avere un sacco di info su di me solo andando a vedere i commenti che io lascio su pagine di artisti, politici, gruppi per il tempo libero, gruppi di amici ecc ecc.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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