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Da informazione locale a informazione territoriale

Un viaggio per l’Italia, tra Potenza, Rovigo e Genova è un piacere straordinario. Ma soprattutto fa emergere un punto di vista che andrebbe più profondamente preso in considerazione. La copertura degli eventi italiani organizzata solo dalla visuale romana e milanese distorce la realtà e sottovaluta i motivi di speranza. L’Italia non ha un vero centro, anche se ovviamente presenta alcune realtà più grandi. La sua struttura è fondamentalmente composta da una molteplicità di città che hanno una potenzialità di inflenza sulle vicende italiane da non sottovalutare. Potenza, Rovigo, Genova, come moltissimi altri centri italiani – da Cagliari a Trento, per esempio, da Venezia a Firenze, da Ravenna a Perugia, da Ancona a Bari, e così via – in modi e attraverso percorsi diversi, stanno sviluppando una consapevolezza delle loro opportunità e delle riforme che possono mettere in campo per la politica di sviluppo territoriale.

Questo chiarisce un punto. L’informazione locale, quella che si occupa della cronaca spicciola della comunità che vive in una città, sembra condannata a non uscire dai limiti di quella popolazione. Ma l’informazione territoriale è destinata a diventare esempio, ricerca di casi, punto di riferimento per altri territori. La globalizzazione è competizione tra i territori. Le politiche di sviluppo sono sempre più chiaramente centrate sui territori. Le comunità territoriali sono dotate di maggiore varietà di opzioni per tentare di alimentare l’energia delle loro popolazioni sulla via della ripresa.

Questo significa che un’informazione territoriale, diversamente da quanto si pensa dell’informazione locale, può ottenere, e anzi dovrebbe ottenere, un’attenzione nazionale importante. Tendiamo a guardare alle soluzioni straniere per ispirarci sulla via delle riforme: ma anche in alcune città e territori italiani si possono trovare esempi e casi da approfondire.

Anche per questo, le trasformazioni della mediasfera sono decisive.

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  • in molti (negli usa) vedono l’informazione locale come un terreno su cui far rinascere il ruolo delle blblioteche, ad esempio http://inkdroid.org/journal/2012/12/18/inside-out-libraries/ nel paragrafo “The HyperLocal”.

    un sito pioniere in questo tipo di informazione e’ stato EveryBlock che NCB News ha deciso di chiudere qualche settimana fa.

    Sull’esigenza poi di conservare l’informazione locale rimando a:
    http://blogs.loc.gov/digitalpreservation/2013/02/preserving-born-digital-community-and-hyperlocal-news/

  • Noi di artenaonline crediamo da anni nel potere dell’informazione locale per la maggior precisione, reperibilità delle fonti e profonda conoscenza dei fatti e degli attori sociali. Oltretutto è un ottimo modo per dare ai giovani un alternativa che li faccia crescere culturalmente e professionalmente. Considerate che la redazione di artenaonline è fatta di ragazzi sotto i 30 anni (io sono il più vecchio e ne ho 28). Siamo un sito libero perchè non prendiamo fondi ne sponsor viste le basse spese di gestione del sito. C’è il limite però che non creiamo ricchezza…almeno non quella economica.

  • Possiamo dire che siamo di fronte ad una sorta di sprawl dell’informazione?
    Crollano i costi di acesso all’informazione; le autostrade informatiche consentono di moltiplicare i punti di accesso all’infosfera; questo favorisce il moltiplicarsi di canali emittenti locali; ma la produzione “locale” di informazione ha contestualmente accesso ad un pubblico potenzialmente globale, cosa che i mass media come la TV non avevano per evidenti limiti tecnologici. I canali di informazione che nascono sulla falsariga dei sistemi comunicativi pre-internet, mentre si sviluppano a partire da metodologie comunicative collaudate (quelle dei mass media pre-digitali), sono però spinti a ricercare contenuti potenzialmente in grado di ampliare il loro pubblico, anche modificando forme e contenuti dell’informazione.
    Il localismo costiutuisce un punto di ancoraggio per favorire l’avvio di un percorso di informazione che viene per sua stessa natura spinto ad essere globale. Si favorisce quindi l’informazione che ha la caratteristica di essere locale (perchè locale è la fonte, se fatta di contenuti originali) ma che ha la capacità di essere paradigmatica rispetto a situazioni simili.
    Nelle prime sperimentazioni di nuove tecnologie si tende a riprodurre schemi mentali collaudati nelle tecnologie obsolete.
    Perret, nelle prime applicazioni del cemento armato alle costruzioni riproponeva lo schema delle colonne classiche (addirittura sovradimensionando intenzionalmente le strutture per non dare troppo la sensazione di instabilità e non spaventare i potenziali clienti). Alla fine dell’ottocento l’eclettismo ha rivestito le strutture in cemento armato alla ricerca di forme architettoniche rassicuranti; fino a che il modernismo non ha smascherato definitivamente l’illusione, scarnificando le forme architettoniche e riportandole all’essenzialità. Non a caso si comincia a parlare di nuova oggettività e International Style. Ancora oggi le ideologie architettoniche che ripropongono schemi costruttivi e stilistici “locali” sembrano giustificarsi maggiormente come risposta ad un bisogno di rassicurazione psicologica in contrasto alla frammentazione della globalizzazione. Nascono con questo spirito le gate communities, che favoriscono l’illusione del confine, proponendo il luogo come archetipo dell’identità; una identità perfetta, immutabile e pienamente delimitata. Una identità che per sua natura non è contenibile all’interno di quei confini artificiali (siano essi fisici o mentali). Valga per tutti l’esempio di Milano 2, una Gate community dalla quale non a caso è nato Canale 5.
    Oggi che la rete ha spalancato e accelerato l’accesso all’informazione globale, sembra naturale il rifugio nel localismo come forma rassicurante di contrasto alla sensazione di spaesamento che ci terrorizza questo mare sconfinato. Ma si tratta di una mera illusione, perchè anche l’informazione, ancorchè locale, si affaccia sullo stesso mare; alla fine non è che un modo per affontare quel mare supportati da imbarcazioni solo un poco più solide.
    Ricerchiamo le mura solde del castello medioevale senza accorgerci che quelle mura sono già state abbattute. Al loro posto rimane una linea tracciata sulla sabbia, impossibile da difendere, difficilissima da preservare.
    Emerge invece con forza l’interconnessione tra poli, sempre più parcellizzati, diffusi nel territorio; poli sempre più connessi per valore e significato e sempre meno per distanza fisica. Una serie infinita di localismi permeabili tra di loro. In rete l’identità territoriale appartiene sempre più all’uomo e alla sua catena di interessi e sempre meno al suolo; il suolo quindi diviene metafora di una appartenenza puramente ideologica; dove il territorio è veicolo fisico della catena di interessi di un sufficiente numero di persone, allora il territorio acquista significato. L’uomo che già da tempo abita il territorio abbandonando la città (pur gravitando intorno ad essa), non può che richiedere e perseguire informazioni delocalizzate. Ma se il territorio contemporaneo è un non-luogo identico a se stesso e a tutte le periferie del mondo, per giunta abitato da persone sradicate (migranti) identiche tra loro nelle diverse realtà urbane, anche l’informazione locale non può che arrendersi e farsi non-territoriale.
    L’uomo ricerca affinità ideologiche ancor prima che materiali; mentre l’identificazione materiale aviene se l’oggetto dell’identificazione è in grado di farsi significante della ricerca di affinità.
    Come nel moderno sprawl, la città non ha più confini definibili. La stessa definizione di centro non ha più significato concreto, sopravvive nell’immaginario collettivo dell’appartenenza burocratica di una popolazione ma lascia sempre più il campo al policentrismo culturale. La rete può fornire l’illusione di una ricomposizione identitaria della città ma ne è essa stessa fattore di ulteriore frammentazione.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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