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Chi vuole fare il giornalista: un mestiere da innovatori

Chi vuole fare il giornalista, oggi, ha bisogno di coraggio e di spirito di servizio. Come sempre, in fondo. Ma in più ci vuole una dote solo apparentemente “inedita”: ci vuole energia innovativa, concreta, empirica. La nostra epoca sta reinventando molte cose, compreso il giornalismo.

Uno degli aspetti più utili del rapporto sul Post-industrial journalism uscito qualche giorno fa è la sua pacata ipotesi di partenza: il sistema che ha funzionato in passato non funziona più. Un ipotesi di partenza che nella sua semplicità definitiva consente a chi l’adotti di liberarsi dalla tentazione conservatrice di negare il contesto che si è creato con internet e di liberare la mente per avviare la costruzione di un nuovo sistema. Con una convinzione: il giornalismo serve alla società. Il problema è rigenerarne la sostenibilità.

Se n’è parlato in questo blog. E soprattutto ne hanno parlato Sergio, Pier Luca, Mario, Andrea, Nico e altri. C’è stato un tempestivo post del Nieman. E molti altri commenti.

La sostenibilità del giornalismo è prima di tutto una presa di coscienza: il giornalismo è sempre stato sussidiato, perché costava più di quanto il mercato pagava per accedere agli strumenti con i quali veniva pubblicato. Il problema è che la pubblicità, che sussidiava il giornalismo, sta cambiando in modo sostanziale. Quindi o si cercano altre forme di sussidio – dalla filantropia alle varie forme di membership – oppure si cerca di capire quali nuovi strumenti per pubblicare il giornalismo possono convincere il pubblico a pagare, oppure si reinventano i proventi della pubblicità sostituendoli con quote del valore delle vendite che avvengono attraverso i canali che pubblicano giornalismo, oppure si mette il giornalismo al servizio delle comunità che generano un valore per gli aderenti e che hanno bisogno di informazioni per tenersi insieme.

In questo contesto, il giornalista deve avere qualità specifiche da artigiano (saper fare, originalità, affidabilità), conoscere le tecnologie digitali perché queste sono il suo nuovo contesto operativo, imparare a parlare con designer e softwaristi, essere efficiente per adeguarsi al sistema di costi limitati che il nuovo contesto impone, avere una sorta di significato pubblico (dalla notorietà al carisma), svolgere un servizio che ne motiva l’adozione e conoscere le proprie responsabilità civiche. Soprattutto deve sincronizzarsi con il movimento generato dall’innovazione e se ci riesce partecipare attivamente a tale movimento. Una professionalità profondamente rinnovata, non nuova nelle sue finalità di fondo, ma aggiornata per avere un posto nella contemporaneità. Si ha l’impressione che tutto questo sia perfettamente possibile. Certo, si tratta di un cambiamento che richiede una profonda umiltà.

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  • È assolutamente categorico cambiare il mestiere e tornare ad essere più artigiani e ovviamente digitali e crossmediali su questo va aperto un dibattito con FNSI e Ordine ci vuole un giornalismo stile storify

  • Non so se in questo momento storico è possibile reinventare un mondo Luca, sarebbe bello se lo fosse. Nell’immaginario comune il “giornalista” (della tv, della radio, dei quotidiani e dei magazine blasonati di qualunque settore) è “CASTA”, lo vedo ogni giorno quando mi viene chiesto di cosa mi occupo e vengo guardata come una marziana quando comunico che come PR interagisco / lavoro con le redazioni.. uhiiiiiiiiiiiiiiii! CON I GIORNALISTI! Una professione che in pochi percepiscono, tutti immaginano i giornalisti “d’assalto” che fanno storia con i loro pezzi.. o i “Travaglio”. Eppure dietro ad ogni buon articolo (indipendentemente dal tema o dal settore di mercato) ci vuole un mondo di lavoro e ricerca. Storify aiuterebbe moltissimo e testate che si configurino come testimonianza storica di quanto è successo sarebbero indubbiamente gradite (la gente dimentica tutto, presto), ma ripafrasare l’intero giornalismo, il modus operandi, il modo in cui si ricercano fondi ecc. mi sembra un compito estremamente arduo, soprattutto perché tu – e un buon numero di altri tuoi esimi colleghi – ne hanno capito l’importanza e sanno anche come reinventare il proprio lavoro e la piattaforma operativa, ma la maggior parte purtroppo no, un pò come il popolo cui vogliono raccontare le loro storie, possibilmente ancora finanziati da uno Stato che non c’è.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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