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Romney v. Obama. Ragione, sentimento e mal di pancia

L’America decide per sé e per il mondo. Mitt Romney contro Barack Obama. Mezza America non se ne cura e non vota (cfr. Study of the American Electorate citato da UsaToday). Un quarto degli americani stanno con lo sfidante e un altro quarto con il presidente attuale. Il mondo in gran parte ovviamente non si sente coinvolto, ma coloro che, pur non americani, pensano alle elenzioni americane e che si informano sull’Economist, nel 2008, erano in gran parte per Obama. Quest’anno non c’è stato altrettanto rumore intorno alla candidatura di Obama, ma l’Economist ha preso blandamente posizione per l’attuale presidente. Anche perché è cambiata la distribuzione dell’affezione e della ragione nel confronto elettorale.

Ok. Qui si vuole riflettere su un punto: posto che come insegna Kahneman scegliamo quasi sempre in base all’intuizione e quasi mai in base alla ragione, i candidati hanno imparato da tempo che occorre puntare sull’intuizione. Per questo vendono la loro immagine come saponette in televisione. Per questo abbondano di slogan semplici e puntano ai titoli più che agli articoli dei giornali. Per questo sperano in foto e video opportunities. Per questo i democratici sembrano sempre più in difficoltà del comprensibile. Alla fine, facendo i conti la presidenza di Obama non è stata poi tanto male per quanto riguarda l’economia degli americani, considerata la crisi generale. Ed è abbastanza chiaro che la maggior parte dei problemi che Obama ha dovuto affrontare erano ereditati dalla scriteriata conduzione dell’amministrazione precedente: debito alle stelle, guerre a destra e a manca, libertà per le banche di fare esattamente quello che volevano. A sua volta, una parte della difficoltà dell’amministrazione precedente era ereditata dai resti della bolla scoppiata nel 2000 e gonfiata durante l’amministrazione democratica ancora precedente e si è accentuata con l’11 settembre. Le possibilità di influire sulla storia, per un presidente, sono limitate: ma è proprio di quelle possibilità che si deve essere consapevoli quando si vota. E Obama aveva forse alimentato aspettative superiori alle sue possibilità.

Così i repubblicani hanno recuperato la posizione di vantaggio di default che hanno conquistato dai tempi di Reagan. Il genio di Reagan era stato quello di trasformare un complicato ragionamento in un messaggio di pancia. Il ragionamento: si abbassano le tasse e si eliminano vincoli alla libertà d’impresa, così gli imprenditori investono, fanno profitti e assumono, così le persone hanno stipendi e spendono in consumi, così c’è crescita, così la raccolta fiscale aumenta, così i conti pubblici vanno a posto. E magari si possono abbassare ancora le tasse. Il ragionamento è piuttosto contorto. Ma comincia con “abbassiamo le tasse” quindi la gente lascia perdere il resto e approva. Poco importa che per fare la crescita i repubblicani abbiano di fatto agito sulla spesa pubblica con enormi spese per armamenti e che per fare liberalizzazioni abbiano abbassato le difese contro la finanza speculativa: due azioni le cui conseguenze sono quelle che stiamo pagando oggi (crisi, guerra, allargamento della distanza tra ricchi e poveri, peggioramento dell’istruzione). Il bello e che Romney pare fatto apposta per incarnare quelle conseguenze. Ma quell’abbassiamo le tasse è sufficiente. I ragionamenti troppo complicati non li seguono tutti.

I democratici hanno il problema opposto. Dicono: paghiamo le tasse e uniamoci nello sforzo di raggiungere una società più forte e più giusta, dunque facciamo spesa pubblica per le scuole e la sanità e il welfare, tenendo sotto controllo i conti in modo da non spiazzare troppo gli investimenti che comunque devono essere vincolati a regole di equità, senza dimenticare l’ambiente e magari facendo meno guerre, così avremo una crescita equilibrata e potremo vivere meglio. Il problema è che si comincia con “paghiamo le tasse” e per arrivare a “vivere meglio” ci vuole tutto un lungo ragionamento che passa da “uniamoci” e che quindi fa emergere facilmente il cinismo e la conflittualità sociale.

La strada dei democratici parte in salita. Solo una popolazione più allenata a seguire un ragionamento lungo e complicato può riuscire ad approvarla. La strada dei democratici è orientata al lungo termine e deve necessariamente partire dall’investimento nella scuola, nell’educazione perenne, nella ricerca, nel senso civico. Agli altri bastano gli slogan. Ai democratici occorre una vera politica del territorio, della cultura e dell’innovazione.

I democratici pagano di più degli altri in proporzione l’incoerenza e l’orientamento al breve termine. Ai democratici occorre un di più di sentimento e di ragione, per superare il mal di pancia.

Vale anche in altri paesi. Compreso il nostro. Imho..

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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