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Tecnologia del sospetto. Google, Facebook, Huawei. Le telco, i governi, i cittadini

C’è chi mette artatamente in giro la voce che della Huawei non c’è da fidarsi. La grande azienda cinese, fondata da Ren Zhengfei un ex ingegnere dell’esercito cinese e che conquista sempre più grandi quote di mercato nelle tecnologie per le telecomunicazioni, viene sospettata di poter essere comunque al servizio della politica del suo paese. C’è chi parla di spionaggio. C’è chi dice che in caso di cyberguerra, le sue tecnologie installate in paesi che si potrebbero trovare dalla parte del nemico della Cina potrebbero essere usate a favore della madrepatria. Non ci sono prove per queste accuse, ma le voci fanno male. E qualcuno pensa che la loro circolazione possa favorire i concorrenti occidentali nella corsa alle commesse occidentali. L’Economist dedica un articolo importante all’argomento: senza negarne l’importanza suggerisce che sarebbe un errore trarne la conseguenza che i paesi occidentali dovrebbero scegliere di comprare solo dalle aziende occidentali. Anche perché… gran parte delle tecnologie delle aziende occidentali sono in fondo prodotte in Cina anch’esse.

La magnifica sede della Huawei, costruita da Norman Foster, è basata su tecnologie produttive e logistiche della Siemens, della Kpmg e di altri giganti occidentali, mentre la stessa rete internet cinese non manca di tecnologie della Cisco e altri. Forse i cinesi dovrebbero temere lo spionaggio tedesco o americano? Probabilmente i cinesi di dedicano con passione a un’attività di controspionaggio. Sarà bene che lo faccia anche il controspionaggio dei paesi occidentali.

Più in generale, la tecnica di mettere in circolazione voci e sospetti è usata per contrastare i concorrenti in molti modi. Non mancano le telco che accusano Google o Facebook di raccogliere troppe informazioni sugli utenti, allorché sono proprio le telco che da sempre dispongono di enormi quantità di informazioni sugli utenti. E anche da questo punto di vista non c’è che da far valere le leggi: il sospetto senza prove non fa bene a nessuno. E comunque la vicenda dimostra che la tecnica del sospetto non viene usata solo con le aziende cinesi, ma si può ritorcere contro tutti.

I cittadini hanno diritto di essere informati e protetti nel modo migliore. I governi hanno gli strumenti per contrastare le azioni spionistiche. E le magistrature con le polizie possono contrastare le attività criminali. Non è una battaglia facile. Occorre migliorare l’efficienza delle strutture che contrastano l’illegalità in rete. La strada del protezionismo delle aziende occidentali, invece, non è probabilmente la strada giusta.

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  • la domanda è : sono nostre nemiche le aziende tedesche che chiudono le fabbriche in italia e licenziano, oppure le aziende cinesi che assumono gli ingegneri italiani e richiedono la tecnologia degli innovatori italiani?

  • Si tratta di propaganda talmente palese da essere quasi patetica.
    Primo, le grandi corporation sono storicamente “aperte” a collaborazioni con i servizi dello Stato dove sono incorporate.
    Non serve ricordare Echelon, che dal dopoguerra analizza *qualsiasi* comunicazione elettronica non criptata, ad uso e consumo degli USA e, in seconda battuta, del blocco atlantico.

    E’ doveroso invece ricordare il tipo di “concorrenza” che il consorzio Airbus subì dai costruttori statunitensi.
    O il fatto che solo due anni fa gli inglesi hanno sollevato il problema dell’avionica made in USA; esattamente con gli stessi argomenti.

    O, se vogliamo, ricordiamo che Stuxnet è stato sviluppato con la piena collaborazione di governi e di aziende.

    Ora, visto che non sono arrivati per primi, chiedo: ai cinesi cosa si vorrebbe imputare: di essere potenzialmente più stupidi?

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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