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Wikileaks e Globaleaks

Due architetture per il whistleblowing a confronto. Wikileaks è evoluta come un’alternativa a un giornale: raccoglie i documenti riservati messi a disposizione del pubblico da anonimi e ne verifica l’attendibilità, seguendo anche in un certo senso una sua linea editoriale. Globaleaks è una nuova soluzione completamente software, open source, che chi voglia attivare un sistema di whistleblowing può adottare per favorire l’emergere di informazioni riservate grantendo l’anonimato a chi la usa.

Ne hanno parlato, a Perugia, Kristinn Hrafnsson di Wikileaks e Arturo Filastò di Globaleaks.

I giornalisti hanno da sempre un loro sistema per coprire le fonti che rivelano documenti riservati. E la legge li aiuta in questa funzione che, dal punto di vista democratico, è chiaramente fondamentale. Le macchine come quelle di Wikileaks e Globaleaks favoriscono ancora di più questa pratica garantendo che neppure il giornalista conosca l’identità della persona che offre al pubblico i documenti riservati. Ma naturalmente, come in ogni innovazione, le conseguenze non sono tutte sotto controllo.

Il dibattito ha fatto emergere la difficoltà che permane nel controllo dell’attendibilità dei documenti, per esempio. Un’ulteriore innovazione in questo senso può essere realizzata. Ma la strada di Wikileaks sembra essere quella di migliorare il processo interno con il quale gli operatori di quella piattaforma riescono a valutare l’attendibilità dei documenti: il che è tanto più difficile quanto più grande è la massa di documenti da analizzare. La strada di Globaleaks sembra essere quella di affidare a un’architettura decentrata il lavoro di controllo e quindi moltiplicare le probabilità di trovare persone in numero e competenza sufficiente a svolgere il lavoro.

Esiste peraltro anche un problema politico più complesso. Non è detto che la regola secondo la quale tutto ciò che è segreto debba essere reso pubblico. Per i dissidenti che operano in regimi autoritari, l’emergere delle loro attività può essere molto pericoloso, e non si può negare il rischio che questo avvenga più facilmente con la diffusione di piattaforme che rendono facile la denuncia. Per questo Wikileaks risponde con un’azione dotata di una sua politica e di una sua linea interpretativa. Lo stesso dovrebbero fare gli utenti di Globaleaks con la loro ragionevolezza.

Sta di fatto che questi problemi sono oggetto di riflessione. Difficilmente possono essere trattati come problemi da affidare a cambiamenti legislativi. Non si può negare, peraltro, che il fenomeno sia di grande portata per il sistema dell’informazione: l’emergere di Wikileaks che, come ha sostenuto Hrafnsson, non è stata mai condannata da nessun tribunale ma che a quanto pare è stata contrastata da un’operazione più o meno coperta dei governi occidentali ne ne hanno tagliato le fonti di approvvigionamento tecnologico ed economico, ha fatto apparentemente entrare in contraddizione le democrazie occidentali con i loro principi di libertà di espressione e informazione. Soprattutto sulla base delle considerazioni che sono state fatte intorno all’opportunità che i documenti diplomatici riservati potessero essere resi pubblici: può la diplomazia funzionare in completa trasparenza? Chi decide che cosa sia opportuno rendere pubblico? Wikileaks dice: i cittadini. I governi dicono: la politica.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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