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L’intelligenza delle smart city

Esperienza. “We shape our buildings; thereafter they shape us”.
Queste citazioni che si trovano decontestualizzate su internet non sono una sicurezza dal punto di vista filologico. Ma questa citazione di Winston Churchill vale la pena di essere ripetuta. Perché introduce il tema delle smart city nel modo più ambizioso: siamo noi che diamo la forma ai nostri edifici, ma sono gli edifici che poi modellano la nostra vita e la nostra cultura. E a maggior ragione questo vale per le città. La prospettiva che serve a interpretare la nozione di smart city è inevitabilmente una prospettiva di lunga durata, nella quale l’esperienza umana si sedimenta nei suoi risultati e questi indirizzano il suo avvenire.

Il fatto che l’idea di smart city sia ormai di moda, o meglio sia ripetuta molto più spesso del solito, la rende “interessante”. Ma ciò che la può rendere “importante” è la sua eventuale connessione alle tendenze di fondo dell’evoluzione culturale e organizzativa della società.

Il problema è essenzialmente di modello decisionale. Chi sceglie? Come si evita il rischio che tutto sia condotto da ottiche di breve termine? Chi offre soluzioni per la smart city può essere un visionario oppure un imprenditore schiacciato dal bisogno di fatturare al più presto. Chi domanda soluzioni per la smart city può essere un innovatore sociale consapevole delle dinamiche culturali con le quali ha a che fare oppure un politico schiacciato dal ciclo elettorale. Il rischio è alto perché qualunque sia la scelta, è destinata a pesare sul lungo termine: per ridurre quel rischio l’unica strada è la riflessione e la consapevolezza. D’altra parte, la riflessione deve a sua volta essere orientata alla decisione e all’azione, altrimenti il rischio è che non si faccia nulla. Occorre una visione condivisa. E una sistematica definizione del campo d’azione.

Il contesto è a dir poco sfidante. Un mondo popolato da 7 miliardi di esseri umani, tendenti ai 9 nell’arco di qualche decennio, si copre di conurbazioni di vario genere. La vita materiale ne è sconvolta. Ma la sopravvivenza dipende dall’intelligenza con la quale ci sapremo coordinare e adattare al cambiamento.

Da questo punto di vista non possiamo comprendere il presente senza guardare alla lunga durata. E’ da un paio di secoli che la popolazione umana aumenta esponenzialmente. Siamo arrivati oltre il flesso e verso l’asindoto. Ma, nel corso dell’epoca industriale, ci siamo adattati a essere tantissimi sviluppando città e producendo beni in modo sempre più efficiente dal punto di vista dei conti economici, ma in modo abbastanza inefficiente in termini di uso delle risorse non rinnovabili, in termini di qualità della vita relazionale, in termini di valorizzazione delle dinamiche culturali di fondo. Il filone di ricerca che va sotto il nome di “economia della felicità” è una delle possibili sorgenti di ripensamento che rispondono a questa dicotomia. L’industrializzazione continua, ovviamente, in Asia, mentre in Occidente si è trasformata nella produzione di beni ad alto contenuto immateriale, tanto che si parla di una condizione economica post-industriale, spesso definita economia della conoscenza.

Visione. Il coordinamento degli individui avviene in base alle varie forme di intelligenza collettiva che la cultura è in grado di sviluppare. Stiamo parlando di strumenti di pensiero ai quali i cittadini si connettono e che li aiutano a coordinarsi in modo almeno apparentemente intelligente. Si tratta di strumenti: si appoggiano a tecnologie la cui specifica funzionalità è quella di aumentare le capacità di pensiero individuale e collettivo. I sistemi giuridici, i mercati finanziari, i media che si occupano di informazione, sono elementi dell’intelligenza collettiva. Le città lo sono a loro volta. In un certo senso.

Ma l’intelligenza collettiva non è la fine della storia. In realtà, la qualità e il valore di ciò che la società è in grado di produrre dipende dalla libertà di espressione individuale, dalla capacità di ciascuno di creare, di ricercare la propria felicità, di interpretare la propria vita, di esserne l’autore. Se ciascuno fosse completamente succube degli strumenti di coordinamento collettivo, la sua creatività e autorialità sarebbe bloccata.

Un’intelligenza collettiva ha conseguenze sulla capacità creativa di una società, sia nel bene che nel male. Se è troppo soffocante può uccidere l’espressione individuale. Se è troppo inefficiente può richiedere agli individui di sopperire con uno sforzo di coordinamento troppo grande e dunque ridurre gli spazi di espressione individuale. L’equilibrio perfetto ovviamente non esiste. Esiste la dinamica dell’adattamento.

L’adattamento funziona come negli ecosistemi attraverso un’evoluzione dei comportamenti individuali all’interno delle opportunità offerte dalle risorse comuni e delle strutture che hanno un’efficacia incentivante.

Una delle strutture che si sono dimostrate più favorevoli alla velocità dell’adattamento richiesta dalle sfide dell’epoca della della conoscenza si è dimostrata essere la struttura di rete, abilitata in particolare dalla tecnologia internet. E’ dunque possibile pensare alla città intelligente come una città che abbia caratteristiche simili a internet?

L’idea di fondo è che la città sia una piattaforma abilitante per le attività che i cittadini sono in grado di sviluppare.

Se la città è una rete integrata che connette gli individui e ai quali lascia la libertà di interpretare la propria capacità di generare valore aggiunto, abbattendo i costi di transazione e valorizzando le attività individuali, si può definire “intelligente” e anche “smart”.

Occorre connessione, neutralità, apertura. Efficiente, facile, rispettosa.

Per arrivare a questo occorrerebbe che:
1. ogni elemento generatore di connessioni sia interconnesso in modo efficiente e neutrale
2. ogni elemento generatore di dati offra i suoi dati all’insieme dei cittadini in modo aperto
3. la libertà degli individui sia difesa dall’invadenza del controllo collettivo
4. ogni individuo sia capace se vuole di contribuire con il proprio servizio e contenuto
5. i dati mancanti vengano generati da sensori innovativi che conferiscono poi i dati all’insieme

Quello che va costruito, a quanto pare, è un layer che integra e rende interoperabili i diversi sistemi di connessione ereditati dal passato (denaro, trasporti, comunicazioni, ecc) e quelli da costruire (sensoristica, sicurezza, privacy…).

In pratica, la smart city sarebbe una piattaforma sulla quale si sviluppano le applicazioni ereditate dal passato e quelle che si possono inventare per il futuro. Non si occupa delle applicazioni, ma della possibilità per i cittadini di inventarle.

Il tema è enorme. Ecco alcune segnalazioni giunte via Twitter.

WorldSmartCapital (Pelatelli)
UrbanoCreativo (Manudonetti)
Iperbole 2020 (Twiperiperbole)
Modernità e non luoghi (MeriGreis)

Guido Vetere ha suggerito un titolo per questo argomento: dumb people building smart cities: a challenge of modernity.

I commenti a un post precedente:

In questo momento, tutte le linee di taglio stanno per
vari motivi accomunandosi su un fattore, l’abbandono di elementi che
sistematicamente determino l’incremento del knowledge. Si parla di
informazione, ma sappiamo che non è strutturata, serve a poco se
confrontata alla comprensione, ossia alla scienza delle cose e delle
loro ragioni. Una smart-city deve avere strutture sistemiche di
connessione per far transitare scienze, non solo informazioni.

SENSEable City Laboratory?
http://senseable.mit.edu/
Però non so segnalarti un argomento specifico.
Ci sono arrivata pensando a Carlo Ratti
http://www.carloratti.com/people/index.htm

Bell’esempio di una città che conosco bene e di cui sto
seguendo l’evoluzione, ha prodotto un piano con numeri e tempi, nonché
alcuni report: http://www.edinburgh.gov.uk/info/691/council_performance/967/e-government_smart_city

Nel post precedente, si segnalavano queste letture:

Un post da leggere su Forum PA
Si parla delle diverse dimensioni della smart city: economia, capitale umano, governance.

Alfondo Fuggetta
Che cosa non è una smart city? Non è un insieme di soluzioni tecnologiche ma il frutto di una visione integrata.

Chiara Buongiovanni
La città senziente…

Urban design
La città come piattaforma interattiva

GigaOm
La città come piattaforma che genera ricchezza di dati…

Enabling City
La città-piattaforma abilitante per le attività e le iniziative degli abitanti

Il tema della smart city è cresciuto nell’attenzione generale italiana
recentemente perché finalmente anche l’Italia ha un’Agenda digitale.

I promotori Agenda digitale
L’agenda digitale europea

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  • Grazie Luca per questa riflessione. Mi auguro che la lettura critica del processo “smart city” non ceda il passo all’entusiasmo tecnologico.
    Da quando ho sentito parlare per la prima volta di smart cities, mi è saltato all’occhio principalmente il mondo d’interessi che, in essa, hanno trovato un’occasione ghiotta per fatture milionarie. Voglio credere, tuttavia, che il processo in atto possa essere realmente un’occasione per sperimentare un’evoluzione, anzitutto, culturale. A questo proposito credo che uno dei punti nodali da comprendere è in quale rapporto stiano “connettività” e “relazionalità”, perché se è vera la massima che “il medium è il messaggio”, non vorrei che un giorno scoprissimo d’avere scambiato la relazione umana per una rete di connessioni…

  • Trovo molto interessante questa tua connessione tra l’aspetto generale, collaborativo, condiviso (agenda pubblica), e la necessità di salvaguardare l’individualità. Mi porta a pensare che così si evita la delega totale al Pubblico.
    La soggettività, infatti, si gioca sia partecipando alla discussione pubblica, sia agendo direttamente in modo creativo rispetto ai propri bisogni.
    Molto bello, grazie

  • E’ stato un buon momento di interscambio idee e peccato che, così denso di concetti, non ci fosse sufficiente tempo per esprimerli.
    La mia sensazione, già vissuta in passato per fenomeni simili, come hai detto è che siamo in una fase pionieristica. Non ci si rende ancora conto dei potenziali e possibili enormi sviluppi. Mi auguro da una parte che, in Italia, l’immobilismo e la burocrazia non frenino quella che altrove è ormai una necessità (nelle città-conglomerati di 20+ milioni di abitanti) e che, dal basso, nascano idee, richieste che contribuscano a sviluppare delle “vere” smart cities.

  • Ti ringrazio per la presentazione di ieri al Vega. Avrei voluto chiederti se è proprio necessario spendere budget enormi per implementare infrastrutture, sul spinta delle aziende che offrono soluzioni tecnologiche, o se è possibile implementare le smart city in modo smart ri-usando infrastrutture che sono già esistenti o ripensando il modo di vivere le città. In una situazione di scarsità di risorse realizzare “smart city low cost” è la vera sfida smart!

  • Molto interessante, anche il titolo dell’amico Guido Vetere: chissà perché mi ha fatto pensare al fallimentare modello “New Town” coniato per la ricostruzione de L’Aquila.
    Se l’amico Guido mi consente, proporrei il sottotitolo:
    The Wisdom of Crowds is NOT The Wisdom of Clouds(=Oligarchies)
    Semeleaks dixit

  • tutto molto giusto. ma è essenziale aprire il processo decisionale che tutta questa smartness la può finanziare. partiamo dai bilanci aperti: esempio fiorentino mi pare sia sulla buona strada. opendata per supportare il layer di cui parli: ma dataset sensati. meno dati sull’uso delle piste ciclabili e più fatture a fornitori.

  • Il concetto di “piattaforma abilitante” sintetizza perfettamente ciò che realmente dovrebbe essere una smart city, ovvero non semplicemente la realizzazione di infrastrutture tecnologiche, come pure non solamente la messa a disposizione di open data.
    E’ necessario mantenere al centro della smart city il cittadino, con i suoi bisogni e le sue necessità ma anche con le potenzialità consce e inconsce di essere egli stesso generatore di dati, idee, addirittura applicazioni.
    Di grande interesse in tal senso, l’esperimento sociale sulla figura del “citizen expert”, che è alla base del progetto Edgeryders [1].
    E d’accordo con Vincenzo Barbieri sul fatto che una delle vere sfide è realizzare smart city “low cost”. A tale proposito, ho espresso delle grandi perplessità [2] sul bando del MIUR in scadenza a fine aprile, che “brucerà” più di 100 milioni di euro in 4-5 progetti del valore medio di 20 milioni ciascuno… non sempre spendere tanto vuol dire ottenere risultati migliori.
    [1] http://t.co/ihRNU2fm
    [2] http://t.co/pEYuPLWk

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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