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Globalinet. Digital content economics tra vecchi e nuovi argomenti

Il dibattito a Globalinet, Ginevra, oggi sembra un salto nel passato. Si discute di digital content, intellectual property e innovazione. Si discute di copyright e come pagare i contenuti… C’è chi dice che il copyright va rispettato e chi dice che internet ha cambiato il sistema tanto che non ha più senso andare contro l’onda innovativa ma occorre cercare nuovi modelli. Sembra di essere sempre fermi allo stesso punto.

In realtà, un equivoco continua a impedire l’avanzamento del dibattito.

Nel vecchio contesto, gli editori possedevano la tecnologia e compravano il copyright dagli autori per rivenderlo sui loro media. E quei media interamente controllati dagli editori erano il solo modo che il pubblico aveva per accedere ai contenuti. Gli autori avevano interesse a cedere il copyright agli editori perché questi garantivano un solido modello di remunerazione.

Nel nuovo contesto, gli editori tradizionali non possiedono la tecnologia. Continuano a comprare il copyright dagli autori ma non riescono a garantire un solido modello di remunerazione perché i loro media non sono più il solo modo che il pubblico ha per accedere ai contenuti.

Inoltre, nel nuovo contesto, una grande parte del pubblico contribuisce alla produzione di contenuti in base a modelli gratuiti, non profit, mutualistici. Una parte di questi contenuti riducono la scarsità e dunque il prezzo accettabile dei contenuti professionali.

Quindi il punto di vista degli editori e degli autori sul problema del copyright rischia di essere divergente.

Per gli editori si tratta di recuperare un qualche controllo sulla tecnologia, inventando piattaforme e applicazioni o alleandosi con i nuovi protagonisti della tecnologia.

Per gli autori si tratta di trovare il modello di remunerazione migliore. Possono andare direttamente sulle piattaforme tecnologiche che garantiscono una remunerazione, da Apple ad Amazon e a YouTube. Possono cercare di intercettare il denaro che fluisce nel settore del non profit. Possono puntare all’analogico, presentando i loro contenuti in contesti fisici e live, come il teatro. Oppure possono continuare a vendere il copyright agli editori che combattono per mantenere una quota di mercato significativa.

Ha ragione chi dice che è giusto che i contenuti professionali siano pagati ai loro autori. E gli autori possono trovare modelli flessibili per fare in modo che questo avvenga. Ma che il lavoro degli editori debba essere pagato è questione di modelli di business, tecnologia e legittimità del valore aggiunto che producono.

Gli autori hanno bisogno di editori per una serie di funzioni che non sono necessariamente accorpate da aziende che le svolgono in modo integrato. I grandi editori sono capaci di arricchire di gusto, cultura e sensibilità il lavoro degli autori. I grandi editori fanno marketing e pubblicità. Si occupano della distribuzione e degli anticipi di pagamento. Ma se non recuperano un’adeguata capacità innovativa dal punto di vista tecnologico, rischiano di vedere una separazione tra queste funzioni, con la nascita di operatori specializzati: agenti, editor, consulenti di marketing, piattaforme di vendita potrebbero non essere più funzioni concentrate in aziende integrate ma diventare il compito di aziende specializzate.

Se gli autori e gli editori non hanno più lo stesso punto
di vista sul copyright, mentre il pubblico e i produttori di tecnologia
hanno un ruolo innovativo profondissimo con il quale autori ed editori
devono imparare a fare i conti, allora cambia anche la relazione tra copyright, pubblico dominio, creative commons e altre forme giuridiche di considerazione del diritto sulle opere autoriali. Difendere il copyright per come era nato nel vecchio contesto allargando lo spazio del copyright a discapito del libero sviluppo del pubblico dominio sarebbe un errore in termini di bene comune e probabilmente non servirebbe comunque a salvare gli editori che non fossero in grado di migliorare la loro competenza tecnologica. Le strade per uscire da questa impasse abbondano e gli autori sperano certamente che si trovino. Ma tutto questo passa per una maturazione culturale che in effetti sta avvenendo, nonostante quello che si senta dire nei dibattiti. Meno male che Vint Cerf è intervenuto a Globalinet dicendo che la salvaguardia del copyright non può essere ottenuta a scapito del pubblico dominio: «il copyright deve essere limitato nell’interesse di tutti» ha detto Cerf.

Il nuovo contesto non è certamente stabilizzato. La maturazione qualitativa dei social network, il cui progresso non finisce probabilmente con Facebook, fa pensare che il valore aggiunto generato dagli autori possa essere conosciuto indipendentemente da complessi sistemi di marketing centralizzato. Le piattaforme di vendita di contenuti di Apple e Amazon stanno funzionando, di certo non sono facili da usare per gli autori, ma potrebbero migliorare. Il non profit potrebbe assumere un ruolo più importante nella generazione di sistemi di informazione e civic media più orientati al bene pubblico e alla cittadinanza. E nello stesso tempo, vecchi e nuovi editori potrebbero trovare un modo equilibrato per valorizzare il loro ruolo culturale ed economico. La fioritura di innovazioni è un po’ difficile da discernere mentre la si sta vivendo, in un periodo di grave crisi e sofferenza. Ma va affrontata con equilibrio, responsabilità e un po’ di energia costruttiva. Imho.

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  • mi pare che per i libri siamo sulla buona strada: vari esempi di curation e publishing, a livello globale(amazon,etc) e locale(biblet, 40k , amazon.it …);
    invece per i giornali e giornalisti siamo indietro; bisogna creare un sistema di gruppo
    secondo me la remunerazione dei giornali dovrebbe essere di gruppo: gli editori.it si riuniscono e approfondiscono un sistema sulla base dei cliks; un esempio: franchigia di 200 cliks/settimana; superata la soglia 200, si paga 10 eu/mese, oltre i 500 si paga 20 eu/mese; il ricavato viene diviso secondo i cliks. mi piacerebbe sapere cosa ne pensate .soltanto riunendosi in blocco i giornali potranno avere la forza di convincere a pagare (giustamente) qualcosa per ricevere le notizie;
    credo che amazon lo fará presto…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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