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Conflitti d’interesse nell’informazione tecnologica

C’è un pezzo davvero terribile di Dan Lyons sui conflitti d’interesse nei quali sarebbero invischiati alcuni importanti giornalisti della tecnologia di Silicon Valley che lavorano in proprio con grande influenza e con i loro blog.

Ci sono considerazioni che il buon senso condurrebbe a ritenere realistiche. E alcuni passaggi poco chiari. Come quello in cui Lyons racconta che quei giornalisti riescono facilmente a raccogliere fondi per fare gli angel investors e con quelli entrano nelle aziende delle quali poi parlano bene. Si dovrebbe tener conto del fatto che non dovrebbe essere così facile per nessuno, nemmeno a Silicon Valley, farsi dare 10 o 20 milioni di dollari.

Il problema è che non c’è modo di capire che cosa ne possa venire fuori. Un sistema di super-pr oliato da grandi guadagni? Una delegittimazione di tutto e di tutti? Una nuova iniziativa per trovare ambiti di informazione più responsabile nel mare magnum delle chiacchiere interessate?

Di certo, come lettori (anche chi scrive è prevalentemente un lettore) abbiamo un interesse preciso a combattere i conflitti d’interesse intellettuali che ci impediscono di comprendere in modo sempliceil valore di ciò che leggiamo. Sapere come stanno le cose non può risultare da un cumulo di informazioni che non siamo in grado di interpretare come autentiche o come interessate.

Chiaro che scrivendo non si diventa ricchi. Di solito. Chiaro che in mancanza di regole ci sarà sempre chi approfitta della buona fede o ignoranza o inconsapevolezza altrui. Chiaro che le regole sono necessarie. Ma è anche chiaro che non ci sarà modo di imporle dall’alto. Se non ci sono regole esterne, allora devono essere interne a chi scrive e a chi legge. E casomai si possono dichiarare, come su Timu, che resta un modo ingenuo ma lineare per affermare dei principi che chi scrive si porta dentro e che chi legge, si spera, può apprezzare.

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  • Ho letto questo pezzo stamattina, consigliato da un contatto su Twitter. Siegler e Arrington hanno un stile di fare informazione che non definirei professionale ma piuttosto rumoroso e populista, come i programmi della domenica in TV.
    Li seguo costantemente, anche perché li trovo divertenti. La vicenda che ha portato all’allontanamento di Arrington da TechCrunch aveva qualcosa di insolito dietro. Un “giornalista” che si occupa di startup e che è a capo di un fondo ha sicuramente una leva a favore per guadagnarci sopra. Le parole spese a manifestare il loro corretto comportamento valgono poco: finora possono essere stati dei santi, resta il fatto che il dubbio di una distorsione delle informazioni è lecito e che il conflitto di interessi è reali.
    Banalmente si può dire che tutto il mondo è paese, l’informazione ha un peso notevole e c’è chi la sfrutta per lucro. Sia le companies che i giornalisti stessi.
    Credo che le affermazioni di Lyons siano realistiche anche se mi sembrano caricate da questioni personali con gli interessati. Non è il primo soggetto che si lamenta di TechCrunch: un sito simile, ArcticStartup, manifestò il suo disappunto per la gestione delle esclusive molto aggressiva del portale statunitense. Ecco il link: http://www.arcticstartup.com/2011/12/05/the-techcrunch-embargo
    Arrington e Siegler non li definirei personaggi di alto spessore nel mondo dell’informazione tecnologica. Almeno non sono quelli che stimo di più… Gusti personali ovviamente.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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