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Twitter, le agenzie, la rilevanza, i rumors, le verifiche: i principi e la pratica dell’informazione

Dario Di Vico diceva in un recente convegno di preferire ormai Twitter alle agenzie giornalistiche. Scegliendo accuratamente le persone da seguire, si informa meglio, più in fretta, in modo più articolato. E come dargli torto?

L’obiezione che gli veniva fatta era sulla credibilità delle notizie che si trovano su Twitter. L’altro giorno, peraltro, come segnalava Pier Luca Santoro è stata peraltro una giornata ideale per chi sostiene quell’obiezione. Una serie di bufale e rumors non confermati sono stati diffusi su Twitter e hanno acceso varie reazioni. Indubbiamente, la stessa Twitter è stata lo strumento per fare emergere la scarsa credibilità di quelle notizie. Il problema in generale è da tempo piuttosto pesante e richiede la diffusione di un senso di responsabilità da parte di chi fa informazione in rete sul quale vale la pena di riflettere, condividere dei principi e agire.

Ma non c’è dubbio che si deve costuire sulle conquiste fin qui ottenute invece che difendere un passato che non tornerà, per fortuna: è in fondo quello che pensa Antonio Spadaro che ha dedicato un post importante all’argomento.

La conquista fondamentale è l’entrata in gioco da protagonista del pubblico attivo che ha cambiato per sempre il panorama di riferimento dell’ecosistema dlel’informazione, arricchendolo di una dimensione ormai indispensabile: non siamo più in un sistema nel quale pochi produttori di notizie servono un enorme audience passiva, ma in un contesto nel quale moltissime persone contribuiscono all’informazione in mille modi diversi, alimentando di competenza e punti di vista diversi quello che si sa su come stanno le cose, da un lato, e, dall’altro, stimolando il mondo professionale dell’informazione a migliorare per ritrovare il suo senso di servizio al pubblico.

Il servizio pubblico dell’informazione non è il servizio statale dell’informazione. E il servizio che si fonda su un’idea di pubblico più vicina a quella di repubblica (le cose che abbiamo in comune). Quindi orientata ad arricchire i commons della conoscenza.

Ebbene. I commons sono risorse disponibili per tutti gli abitanti di un “territorio”. Secondo un vecchio testo di Garrett Hardin, i commons rischiano di essere consumati dallo sfruttamento da parte di comunità inconsapevoli del valore della loro manutenzione. Ma come ha dimostrato Elinor Ostrom, Nobel dell’economia, la tragedia dell’ipersfruttamento dei commons non è un’eventualità ineluttabile: molte comunità imparano a gestirli, manutenerli, coltivarli e arricchirli, per il bene di tutti.

I commons sono ricchezze di tutti. La ricerca di un vantaggio immediato da parte di un singolo può portarle a intaccarle. La prevalenza di comportamenti di tanti singoli che le sfruttano alla ricerca del proprio vantaggio immediato può portare a distruggerle. Ma le comunità che riescono a darsi regole di comportamento adeguate può non solo proteggere ma anche arricchire i commons.

E questo vale pienamente anche per i commons culturali. Compresi quelli che si alimentano con i media digitali sociali. Se singole persone sfruttano al loro immediato vantaggio la conoscenza che si diffonde sui social network, diffondo rumors solo per ottenere velocemente attenzione, ma abbassano la qualità dell’insieme. Non lo si può impedire, di certo, ma si può alimentare e accrescere una consapevolezza intorno al bene comune della qualità delle conoscenze che si sviluppano in rete. E chi condivide tale consapevolezza può darsi una disciplina condivisa e autogestita in grado di creare una dimensione di credibilità nel vasto insieme della rete.

Le idee proposte su Timu non sono che dei principi ispiratori verso i quali si può dichiarare di voler tendere, aiutando così la formazione della consapevolezza del valore dei beni comuni della conoscenza. La pratica che si formerà in rete dovrà tener conto della distanza tra i principi e la loro applicazione nella vita quotidiana: i principi potranno indicare almeno l’esigenza della trasparenza sul metodo con il quale sono prodotte le informazioni, potranno invitare alla trasparenza in merito alla differenza tra le informazioni raccolte e le interpretazioni personali, potranno aiutare gli altri nel comprendere come e perché sono diffuse le informazioni. I principi condivisi servono per fare squadra. La partita invece si gioca ogni giorno, su diversi terreni e in diverse situazioni ambientali e tecniche. La trasparenza e la fiducia vanno insieme. La forza dei media sociali è nella società che li anima. Una società che si sappia autogestire riuscirà a impedire la dispersione della credibilità che qualcuno teme possa affliggere i media sociali. Già oggi di fatto questo succede: l’importanza e la fiducia di cui godono i media sociali è crescente e sempre più rilevante per le persone. Ma per prepararsi al salto di qualità e alle sempre nuove responsabilità che i media sociali saranno chiamati ad assumersi è bene cominciare a discutere di tutto questo. E agire di conseguenza, costruendo media civici. Per fare squadra. E rafforzare la convivenza civile.

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  • Il nemico profondo della veridicità dei documenti è la loro lunghezza. La stampa..i media.. le discipline frammentano notizie conoscenze ed eventi..in funzione degli obiettivi dello SCRIVENTE.
    I lettori oggi debbo deframmentare e ricostruire.. anche con varie mediazioni.. le notizie “originali”..
    Un aspetto che caratterizza variamente tutti i documenti è la associazione al loro contesto..(dove quando come chi perchè..)
    La associazione al contesto di per se non può caratterizzare la veridicità come ben riconosciuto nei documenti associati ad azioni militari..
    Una cultura (ed i relativi supporti tecnologici) per una forma di comunicazione CONTEXT ORIENTED meriterebbe attenzione..
    Grazie

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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