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Noi e le piattaforme che modellano il web

Non è che la tecnologia sia priva di conseguenze. La tecnologia ha una sua logica. Gli strumenti non sono solo oggetti a nostra disposizione e che noi possiamo usare bene o male, ma sono in un certo senso anche soggetti che influenzano i comportamenti, limitano il possibile, abituano a pensare in modo coerente con le loro caratteristiche. A meno che…

Con una certa malinconia, Euan Semple ha scritto su Twitter: «It’s kind of depressing the degree that people’s experience of the web and sense of what is possible is so shaped by Facebook». Euan conosce la rete molto bene. Ha contribuito a cambiare l’approccio della Bbc nei confronti dei social media. E poi ha lavorato per Nokia, World Bank e Nato. Ha scritto un libro eccellente: Organizations don’t tweet, people do, per continuare la sua opera di diffusione della conoscenza dei media sociali, con un approccio, insieme, visionario e pragmatico. Eppure, avverte che una piattaforma modella l’evoluzione di ciò che si fa in rete. Che cosa gli manca?

Evidentemente vorrebbe una alfabetizzazione internettiana non riservata solo ai professionisti della tecnologia, che generi una consapevolezza comune: primo, conoscere ciò che ci induce a fare una tecnologia, per come è fatta e, secondo, sapere che si può contribuire alla sua innovazione. Come si diceva un paio di giorni fa, internet è una tecnologia in piena ebollizione innovativa quindi nel momento stesso in cui pone dei limiti induce a sperimentare tutte le strade possibili per superarli.

La domanda è: ci lasciamo modellare da ciò che esiste oppure tentiamo di modellare il futuro?

C’è qualche motivo per pensare alla possibile entrata in gioco di nuove piattaforme più adatte a incentivare comportamenti favorevoli a un’informazione di maggiore qualità, a una disponibilità maggiore al confronto costruttivo, alla solidarietà? È forse obbligatorio pensare che gli editori italiani possano al massimo usare bene le piattaforme esistenti invece di crearne una propria? È tanto insensato immaginare che un’iniziativa non basata in California possa conquistare il tempo e l’attenzione di milioni di persone nel mondo? Russia e Cina, Giappone e Corea, ci riescono. In Europa sembra si riesca a fare molto nelle fasi ideative ma poi gli europei passano in America per creare qualcosa di grande. Skype non è l’unico caso.

Ma su internet la storia non finisce in fretta. E poiché ogni piattaforma presenta vantaggi ma anche difetti c’è sempre spazio per ulteriore innovazione e per la ricerca di successi anche ambiziosi. È una strada aperta però solo a chi conosce davvero la tecnologia, sa immaginare le sue conseguenze, ha una visione di sistema e empatia per la società e le persone che dovrebbero adottare le innovazioni. Non è impossibile. Ma non è banale. È un impegno vero. Che si può prendere solo chi abbia finalmente capito che internet è una realtà importante.

Forse questo è la principale difficoltà italiana. Per qualche motivo in questo paese non si riesce ancora a comprendere fino in fondo quanto internet sia importante. Per la popolazione in generale, per la qualità delle relazioni, per le opportunità dei giovani, per la nascita di nuove imprese, per la produttività di quelle esistenti, per l’efficienza della pubblica amministrazione… Eppure non manca, anche in Italia, un dibattito sui limiti delle piattaforme internettiane attuali: perché non se ne tirano le conseguenze e non si parte nella creazione di piattaforme migliori?

Se esistesse (e non esiste) il manuale dell’innovatore, al primo capitolo ci sarebbe la spiegazione del fatto che per innovare occorre prima di tutto crederci. Lo scetticismo non aiuta. E nel caso di internet deriva soprattutto da una conoscenza superficiale dei limiti e delle opportunità che ci sono. Ma “non è mai troppo tardi”.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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