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I profitti della Apple, i notai e i cambiamenti nelle parole “monopolio” e “concorrenza”

La Apple ha il monopolio delle innovazioni che lei stessa ha introdotto e che il mercato ha acquistato con entusiasmo: e quindi fa profitti oceanici. Anche se non ha quote di mercato maggioritarie se non nei lettori di musica. Questo tipo di monopolio minaccia la concorrenza? Ovviamente no, ma se e solo se non impedisce ulteriore innovazione da parte di altri. 

Si direbbe che in un settore dinamico, l’idea di monopolio si riconfiguri: non soltanto come posizione di controllo nel mercato attuale, ma anche come posizione di controllo del mercato futuro. Questo potrebbe avere conseguenze più ampie di quanto non sembri a prima vista. Ecco alcuni appunti attorno a queste questioni complicatissime (almeno per me).

In un mercato tradizionale e poco innovativo, che quindi presumibilmente sarà simile a se stesso anche in futuro, il tema del monopolio riguarda le quote di mercato: se un solo soggetto controlla da solo tutto il mercato o ha una quota talmente enorme da poter influire in tutto e per tutto sul mercato allora è un monopolista. Può determinare i prezzi. E può sfruttare i consumatori. Se in un mercato di questo genere un operatore ne compra un altro e raggiunge una quota di mercato troppo estesa, l’Autorità Antitrust interviene e blocca l’operazione. In un mercato di questo tipo la concorrenza va direttamente a vantaggio dei consumatori e a svantaggio dei profitti degli imprenditori. Questo genere di monopolio si può ottenere sia con una grande azienda, sia con un accordo tra tutti i potenziali concorrenti: i sospetti in materia sono ricorrenti, dalle compagnie petrolifere alle banche; ma una situazione analoga a un cartello riguarda alcuni generi di professionisti come per esempio i notai, gli avvocati, i farmacisti, i giornalisti (come me), categorie almeno in parte considerate nel recente decreto liberalizzazioni del governo.

In teoria, in concorrenza, i profitti marginali sono zero. Chi fa profitti è solo chi è più produttivo o riesce comunque a innovare e mantenersi a una certa distanza dai concorrenti. Cioè si conquista una piccola porzione di tempo nella quale è monopolista e riesce a imporrre un prezzo diverso da quello degli altri, o nella vendita dei prodotti o nell’acquisto dei fattori. Il brevetto è un monopolio autorizzato anche nei regimi che si dichiarano favorevoli alla concorrenza perché si dice che serva a difendere quel vantaggio dell’innovazione per un periodo certo. Un innovatore fortissimo come la Apple usa tutti i mezzi per mantenersi a distanza dai concorrenti e arricchirsi per tutto il periodo che intercorre tra l’intruduzione della sua novità, il raggiungimento del successo e l’arrivo in gioco di forti concorrenti. Se dopo un certo periodo i concorrenti, da Google-Android-Samsung a Microsoft-Nokia riescono a fare telefoni che si confrontano con gli iPhone, li superano in qualche feature o magari hanno prezzi migliori, i profitti della Apple sullo specifico prodotto dovrebbero cominciare a contrarsi. E la Apple deve aprire un nuovo fronte, per esempio quello dei tablet, ricominciando il ciclo.

Oppure può essere tentata di mettersi a difendere le posizioni conquistate in passato con mosse tese a ridurre la capacità di innovare dei concorrenti o dei potenziali concorrenti. Oppure può tentare di sfruttare il suo temporaneo monopolio in un settore per conquistare una temporanea posizione dominante in un altro settore. La tentazione è forte, tanto che qualche volta ci sono cascati tutti: da Microsoft a Google, da Apple a Facebook. Hanno ridotto l’innovatività altrui comprando potenziali concorrenti e lasciandoli poi a languire. Oppure entrando con prodotti propri in settori che si sviluppavano sulle loro piattaforme e nei quali altri facevano profitti. Queste sono pratiche difficili da definire per le Autorità Antitrust. Se le acquisizioni non spostano molto le quote di mercato attuali, le Antitrust non riescono a dire che spostano le quote di mercato future bloccando l’innovazione. Un po’ più facile per le Antitrust entrare in gioco quando devono contrastare un abuso di posizione dominante, la concorrenza l’attacco di chi domina un settore a un settore limitrofo. Tipicamente le aziende che vivono bene come piattaforme non dovrebbero lasciarsi tentare da queste pratiche: la loro ricchezza è la ricchezza dell’ecosistema che si sviluppa sulle loro piattaforme e di solito stanno bene attente a non avvizzire quell’ecosistema trasformandolo in una monocoltura. Insomma, il migliore Antitrust per i settori innovativi sembra proprio essere la convenienza stessa delle aziende, anche perché le Autorità faticano a intervenire.

Ok. E allora? Se si considera il termine monopolio come relativo alla situazione presente il caso dei notai e quello della Apple è molto diverso. I notai vivono in un mercato legalmente controllato da un, diciamo, “cartello”. La Apple vive in un mercato competitivo. I primi fanno profitti controllando la loro quota di mercato, la seconda fa profitti innovando. Se non ci sono interventi di liberalizzazione nel primo settore e se non ci sono interventi per garantire la concorrenza futura nel secondo settore, i due soggetti non si considerano concorrenti. Se invece si liberalizzano certe categorie professionali e si lascia agli innovatori tecnologici la piena libertà di sfruttare in tutte le direzioni la loro innovazione, questi ultimi o il loro ecosistema potrebbero essere tentati di esplorare nuove possibilità aperte nei settori precedentemente protetti. Non ci sarebbe nulla di insensato nel tentare di inventare una app-notaio o un robot-giornalista nel caso che quei mercati si liberalizzassero davvero. Se infine le autorità riuscissero a liberalizzare i mercati tradizionali monopolistici e a impedire che gli innovatori indulgessero in strategie volte a impedire l’innovazione degli altri, ci sarebbe spazio per un notaio che, compreso il cambiamento storico che avviene nel suo settore, si mette a studiare e lancia una app che gli conquista una nuova prospettiva economica. Ovviamente sono casi paradossali usati solo per fare degli esempi. (Andrebbe altrettanto bene una cosa analoga tra giornalisti e piattaforme per la ricerca automatica delle notizie). Una misura di liberalizzazione in un mercato potrebbe essere anche accompagnata da incentivi all’innovazione che possono partire da quel mercato, magari proprio per renderla più comprensibile agli stessi appartenenti a quella categoria.

Non si sa se si riuscianno a trasformare gli appartenenti a categorie ex-protette in innovatori. Ma si sa che il futuro è degli innovatori.

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  • Qui in questo post di Jumper.it, si racconta la storia della Kodak il gigante che a causa della difesa della sua posizione monopolista non ha voluto innovare, quando lo ha fatto era ormai troppo tardi e adesso è praticamente fallita e ora chiede aiuti di stato in USA. Con alcune intelligenti riflessioni a latere che riguardano l’importanza dell’innovazione nel mercato della fotografia per i professionisti e lo sfornare nuove idee di business in continuazione per non andare a fondo.
    Mi sembra in tema.
    http://www.jumper.it/la-kodak-che-ce-ancora-in-tutti-noi-e-come-evitare-gli-stessi-errori/

  • @Davide, intendi dire che è difficile leggere la natura innovativa nel sistema produttivo di Apple? Perché se così fosse vorrei contribuire alla conversazione sottolineando che innovazione non significa solamente innovazione di prodotto, ma può anche essere di processo o di modello di business. Apple non ha innovato il processo (tanto che appunto come noti poca differenza c’è con il fordismo sul piano puramente produttivo di assemblaggio), ma è stata pioniere sugli altri due piani di innovazione che sono quello di prodotto (ad es: ipod e ipad), e di modello di business (iTunes store e in genere nello sviluppo complementare di hardware e software creando un modello incentrato sull’assorbire i consumatori in una sorta di bolla di marca, piuttosto che seguire la tradizionale strategia di insidiarsi nella bolla multi-marca in cui vivono i consumatori). Sono innovazioni che Apple ha saputo gestire molto bene e penso che in buona parte si sia trattato di strategie emergenti con grande capacità di lettura della realtà.
    D’altro canto trovo che la dimensione innovativa di Apple sia molto sopravvalutata rispetto a quello che effettivamente è. L’innovazione avviene in maniera incrementale o radicale. Apple di radicale, in opinione mia, ha fatto l’ipod. Da lì in poi si è trattato di innovazioni prevalentemente incrementali ma ben gestite in termini di marketing vendendoti una cosa che in pratica è quella di prima con qualche aggiunta come se si trattasse di una nuova rivoluzione. L’iphone altro non è che un ipod col cellulare dentro. A quel punto né il lettore mp3 né il cellulare erano grandi novità. Sulla stessa scia “ricombinante” hanno poi aggiunto la fotocamera e così continueranno. L’ipad dal canto suo non è altro che un ipod touch moltiplicato per quattro. Ricordo che quando uscì l’ipod (2005?) ho pensato che dovrebbero aggiungerci un telefono, cosa che è avvenuta di lì a un anno e se questo l’ho pensato io che avevo da poco iniziato il liceo, figurarsi a quanti altri era venuto in mente prima. Questo per dire che Apple non è tutta questa rivoluzione in termini tecnici, ma è un mix di tanti piccoli pezzetti che sommati e ben impacchettati vengono venduti come una bomba. La vera risorsa di Apple sta secondo me nella sua organicità di approccio al mercato e ai prodotti: problem solving dal packaging ai materiali nella produzione ai brevetti passando ancora per design e marketing.
    In maniera un po’ meno articolata ed elegante, Facebook è su una traiettoria simile. Nulla di nuovo in termini tecnologici, ma una bomba se contempliamo il fatto che raccoglie tutte le novità della collaborazione online, dalla chat, al video, alla timeline, alle community e gruppi ecc ecc. Tutta roba già vista sparpagliata in centinaia di piccoli servizi online che muoiono prima ancora di raggiungere il mercato vero. Facebook è abile a sfruttare il vantaggio raggiunto tramite l’altissimo tasso di adozione presso il pubblico, che è la sua vera risorsa distintiva, quindi a voler ben vedere la sua vera capacità che lo distingue dal resto di concorrenti non è neanche tecnologica.
    Potrei continuare per pagine ma mi fermo qui. Mica è il mio blog questo 🙂

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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