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I commons e l’ecosistema dell’informazione: eden, utopia e mondo reale

I civic media sono le piattaforme sulle quali i cittadini sviluppano informazione ispirandosi a principi di responsabilità e collaborazione, trasparenza e documentazione. È l’informazione al servizio del pubblico, come si diceva.

Nella pratica chi vuole sviluppare civilmente il suo contributo all’informazione incontra mille difficoltà:
– innanzitutto, i principi sono appunto ispiratori ma la loro applicazione in buona fede richiede la maturazione di una comune esperienza dei metodi concretamente utilizzabili di volta in volta;
– in secondo luogo, il rumore generale rende talvolta difficile distinguere le informazioni orientate alla cittadinanza da quelle orientate all’interesse di chi le mette in giro;
– in terzo luogo, c’è chi approfitta della buona fede degli altri per imbrogliare le carte, cercare attenzione distribuendo rumors, allarmi, sensazionalismi…

Del resto, i punti di vista sono tanto diversi che è difficile mettersi d’accordo su qualunque cosa. C’è chi non cessa di denunciare l’eccessivo ottimismo di chi ritiene che le persone attive in rete possano produrre informazioni utili a sapere come stanno le cose (Riotta, al quale originariamente attribuivo questa opinione, non si riconosce nella mia sintesi; l’update con le precisazioni è in fondo a questo pezzo). Del resto le bufale che ogni giorno circolano in rete non fanno che confortare l’idea che ci sia molta confusione in rete (Massarotto). E d’altra parte, c’è chi ci tiene a ribadire che i blog sono fatti per dare libertà a tutti di affermare le proprie idee personali e che saranno i lettori a scegliere chi leggere (Tagliaerbe).

Evgeny Morozov è spesso citato come critico dell’utopia della rete liberatrice. Evgeny è anche deluso dall’ideologia che induce a credere che la rete sia un generatore autormatico di libertà. E chiama i suoi avversari intellettuali con il doppio appellativo di cyberutopisti e tecnocentrici. (A mia volta, con tutti i miei liimiti e con un piglio per nulla “deluso”, avevo contribuito parecchi anni fa a questo genere di argomenti un libro intitolato Edeologia, Critica del fondamentalismo digitale). In realtà, Evgeny se la prende soprattutto con i politici americani che propugnano la “libertà di internet” per sostanziare una diplomazia aggressiva nei confronti dei paesi autoritari: per Evgeny quei politici sono incorenti con questa impostazione quando si tratta della libertà di espressione all’interno della democrazia americana (come nel caso della loro azione contro Wikileaks) e, peggio ancora, si dimostrano incompetenti quando spingono i dissidenti a usare internet per le loro manifestazioni (anche le polizie di alcuni regimi autoritari sanno usarela rete per scoprire e colpire i dissidenti).

Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, a sua volta non nega il rischio connesso al fatto che la credibilità dell’informazione finisca per essere misurata solo dal numero di volte che una certa notiza o fonte è condivisa in rete: in quel caso il servizio pubblico dell’informazione si confonde con il servizio “popolare”. In realtà, Spadaro osserva, «per quanto strano possa sembrare, è il “giornalismo partecipativo” ad essere sempre più percepito, specialmente dalle giovani generazioni, come forma di “servizio pubblico”. In questo contesto la questione della “credibilità” allora confina e s-confina con quella della “qualità” dell’informazione. La ricchezza quantitativa dell’informazione pone problemi in termini di qualità, infatti. Il rischio è quello di considerare moralisticamente la situazione attuale evidenziando i rischi e dimenticando le opportunità. Ma il rischio è parte integrante dell’innovazione. In ogni caso oggi la qualità non si può più imporre esclusivamente a partire da una autorità culturale predefinita. Il pubblico sta uscendo da una posizione passiva e sta mettendo sotto pressione l’ecosistema mediatico. La credibilità va dunque continuamente verificata e legittimata in un contesto di relazioni, e dunque diviene “affidabilità”; l’autorevolezza “competenza”; e dunque il giornalista un “testimone competente e affidabile”». Nell’ecosistema dell’informazione, dunque, c’è spazio per molte figure. Purché si tenda alla qualità vera e non a quella misurabile dalle varie forme di analisi dei dati del successo internettiano.

Il fatto è che la storia dei nostri giorni non si può comprendere a partire dall’ideologia o dalla disillusione.

Il grande rischio attuale è che la rete, nella velocità delle relazioni che talvolta incentiva, favorisca la tendenza già in atto alla frammentazione della società in una quantità di minoranze separate: scambiandosi idee veloci per trovare riconoscimento e relazioni si rischia di trovarsi soltanto con chi condivide le stesse idee di fondo, gli stessi interessi quotidiani, le stesse curiosità, le stesse ideologie, le stesse paure. Queste minoranze rafforzate dalla sensazione di un forte scambio di informazioni al loro interno possono apparire come mondi che bastano culturalmente a se stessi, mentre invece creano delle distorsioni nella percezione della realtà.

Ma questo rischio non si combatte solo denunciandolo. Occorre creare le condizioni perché sia interessante percorrere in rete anche strade alternative, cercare approfondimenti imprevisti e notizie “impopolari” o “differenti” e potersene fidare. I professionisti possono svolgere una parte di questo lavoro, se ritrovano le ragioni della loro affidabilità. Ma anche i cittadini possono dare una mano, soprattutto se a loro volta maturano la consapevolezza del fatto che la collaborazione con chi non la pensa necessariamente allo stesso modo non è un fatto scontato: ha bisogno di un metodo e di principi orientati a salvaguardare e coltivare quello che i cittadini stessi hanno in comune.

Tutto questo è perfettamente in linea con alcune dinamiche storiche molto importanti del mondo attuale. Mentre stato e mercato non cessano di dimostrare i loro difetti, si sta rivalutando l’importanza sociale, culturale ed economica dei commons della conoscenza. I commons, come ricordava Lessig, sono una ricchezza di tutti. I sostenitori dei commons culturali sono piuttosto anti-statalisti perché pensano che la comunità si possa arrangiare da sola a gestirli e manutenerli (Ostrom). E sono critici dell’approccio capitalistico quando sfrutta i commons fino a impoverirli o li recinta e privatizza impedendone l’uso alla comunità. I commons rischiano la tragedia della loro consunzione se le comunità non sono consapevoli del loro valore e li lasciano senza manutenzione, se non li rispettano, se consentono ai furbi di apppropriarsene e rovinarli. Ma quando ne riconoscono il valore ne traggono una ricchezza immensa.

I commons culturali hanno bisogno di comunità consapevoli. Attive. Colte.

Internet è un grande bene comune. Molte imprese capitalistiche si abbeverano della sua ricchezza e sono sempre al limite di sfruttarla troppo, come molti temono facciano Google o Facebook. Molte organizzazioni non profit al contrario arricchiscono il bene comune della conoscenza che si sviluppa in rete, come secondo molti sta facendo Wikipedia. Milioni di persone violente e ignoranti
calpestano internet per trarne un vantaggio immediato, rovinandone la qualità. Milioni di altre persone usano la rete per collaborare e costruire fiducia, conoscenza e cittadianza. Di certo, la consapevolezza e l’orientamento attivo delle comunità che riconoscono quando la rete le arricchisca di conoscenze e di opportunità vanno a loro volta coltivati. Ma un fatto appare piuttosto chiaro: un’internet sana e ricca, aperta e neutrale conviene a tutti per molto tempo, un’internet ipersfruttata e recintata conviene a pochi per poco tempo. Le ragioni per dare un contributo costruttivo non sono dettate dall’ottimismo: ma dal realismo.

update 1: Gianni Riotta, pur comprendendo le necessità della sintesi, ha visto nella frase con la quale lo chiamavo in causa, qui sopra, una deformazione del suo pensiero e lo ha scritto su Twitter: “”Luca capisco sintesi ma deformi quel che dico. Mi spiace” e “Caro Luca deformare il dibattito sul web in Buoni e Cattivi farà ascolti da talk show ma non onore alla tua sapienza digitale”.

Non era mia intenzione deformare. La sintesi non dava conto della densità e articolazione del pensiero di Riotta.

L’articolo che ha scritto in materia sul Sole si concludeva così: «La rete è e resterà il nostro futuro. I nostri figli ragioneranno sulla rete. L’informazione dell’opinione pubblica critica passerà sempre più dalla carta alla rete. Dunque non dobbiamo – come ci ammonisce Jaron Lanier – permettere ai teppisti di inquinarla con le loro farneticazioni e garantirne l’informazione, la cultura e l’eccellenza contro l’omogeneizzazione e il qualunquismo.
Google come aggregatore industriale di sapere, Wikipedia come aggregatore volontario di sapere, un’azienda strepitosa e un gruppo sterminato di volontari, non possono continuare a mischiare diamanti e cocci di bottiglia. Chi segue il dibattito su Wikipedia – vedi il Financial Times del 2 gennaio con l’inchiesta di Richard Waters – sa quanto questo riequilibrio sia importante: «È ormai duro controllare la qualità su Wikipedia, e interessi occulti possono fare correzioni con facilità, secondo il loro punto di vista. Andrew Lih dell’University of Southern California ci mette in guardia nel suo saggio «The Wikipedia Revolution»: «Il mio terrore è che poco a poco la verità goccioli tutta via, senza che nessuno se ne accorga».».

Ed ecco il link a una purtroppo interrotta registrazione del suo intervento a “Le grandi lezioni di giornalismo” su YouTube.

Il suo giudizio sul mio pezzo precedente e sull’intervento di Pier Luca Santoro: “C’è troppo ottimismo. Le forze della confusione sono bene organizzate online. Non ci sono Eden virtuali in terra” e “Information online: Eden @antoniospadaro Utopia @lucadebiase o Mondo Reale @evgenymorozov ? E per voi?”

update 2: Il professor Gianni Degli Antoni è intervenuto già ieri sul pezzo precedente:

«By gianni degli antoni on January 5, 2012 5:52 PM
Il nemico profondo della veridicità dei documenti è la loro lunghezza. La stampa..i media.. le discipline frammentano notizie conoscenze ed eventi..in funzione degli obiettivi dello SCRIVENTE.
I lettori oggi debbo deframmentare e ricostruire.. anche con varie mediazioni.. le notizie “originali”..
Un aspetto che caratterizza variamente tutti i documenti è la associazione al loro contesto..(dove quando come chi perchè..)
La associazione al contesto di per se non può caratterizzare la veridicità come ben riconosciuto nei documenti associati ad azioni militari..
Una cultura (ed i relativi supporti tecnologici) per una forma di comunicazione CONTEXT ORIENTED meriterebbe attenzione..
Grazie»

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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