Home » innovazione » Agenda digitale – L’occupazione si fa con le start up
innovazione perplessità

Agenda digitale – L’occupazione si fa con le start up

Grazie a Erik Lumer vedo questo sommario di un rapporto Kauffman Foundation che mostra come la nuova occupazione negli Stati Uniti sia fatta essenzialmente dalle start up. Si tratta di una tendenza di lungo periodo segnalata dall’Ocse da vent’anni: la grande impresa tende a ridurre il personale, la piccola impresa e la nuova impresa crea occupazione.

È evidente che al momento in alcuni settori ci sono più probabilità per la nascita di imprese. L’energia è forse uno di questi. La ricerca scientifica è certamente un buon generatore di idee di impresa. L’edilizia lo è sempre, a modo suo. Ma forse la dimensione economica che più probabilmente produce nuove imprese è il digitale: in ogni caso, è piuttosto provato che internet e la digitalizzazione dei settori tradizionali siano occasioni per innovazione anche radicale e dunque per opportunità di far partire nuove aziende.

Se nella roadmap per i prossimi anni non c’è spazio per un’agenda digitale, si tralasciano le migliori occasioni per la creazione di nuova occupazione.

Vedi anche:
Dov’è l’agenda digitale del governo?
I cinque capitalismi e la sfida italiana

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

  • Luca, qui dovremmo mettere i numeri nella prospettiva del totale dei nuovi posti di lavoro creati in USA.
    Da un interessantissimo studio del premio Nobel Michael Spence (http://i.cfr.org/content/publications/attachments/CGS_WorkingPaper13_USEconomy.pdf) si evince che: “Over the period 1990-2008, 98% of the jobs created in the US were in the nontradable sector, with only 2% in the tradable sector.”
    (In sintesi per chi non conoscesse la distinzione, il nontradable sectors sono per esempio il settore difesa e sanità, il tradable il manufacturing e i servizi in generale.)
    Ora, senza ridurre l’importanza delle startup nell’economia digitale, la nuova occupazione è purtroppo quasi tutta nei settori non esposti a concorrenza. Quindi forse il rapporto Kauffman si riferisce più a quel 2% rimanente che al resto.
    Ciao.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi