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Vergogna

Oggi Umana.mente propone un incontro a Brescia sul futuro dei disturbi della psiche (Relatori: Prof. L. Wurmser, Univ. of West Virginia, U.S.A, Prof. G. Martignoni, Univ. SUPSI, Friborgo, CH, Insubria, Prof. G. Tamanza, Univ. Cattolica Brescia). E domani organizza un convegno sulla vergogna.

Giustamente gli organizzatori segnalano l’idea corrente che la nostra sia una società senza vergogna e meno permeabile al senso di colpa, sostituito casomai da problemi di inadeguatezza cui si fa fronte con una continua ricerca di successi che ne placano il dilagare, senza peraltro risolverli. Se i modelli di riferimento sono tutti orientati al successo economicamente definito o alla prevalenza nella esistenziale gara competitiva, il senso dell’inadeguatezza è latente, in ogni momento in cui la prestazione individuale è meno che vincente. L’idea interpretativa è che mentre a fronte della conquista della soddisfazione si dimentica ogni istanza etica, ne consegue un oblio anche della colpa e della vergogna. Ma è davvero così?

La vergogna non è una parola semplice. Si prova vergogna, considerandola un sentimento. Si coprono le vergogne, considerandole parti del corpo da nascondere. Ma in certe parti d’Italia si fa di più. In Puglia si dice “vergognati la faccia” a chi ha commesso qualcosa di indecente. La vergogna è talvolta l’oggetto da coprire e talaltra lo strumento che copre ciò che puô far sentire in colpa. E questa ambiguità corrisponde al fatto che forse non ci si può vergognare da soli: occorre un contesto che induca a sentire insieme la colpa che genera il tema della vergogna. La vergogna è una maschera, come nel libro di Wurmser, nel senso che è una forma di interconnessione tra persone che provano con ruoli diversi lo stesso disagio. Questo può avvenire se si condivide lo stesso senso dell’etica, dell’onore, del pudore, del rispetto, delle regole. Tra amici e tra avversari ci si può vergognare (nel gioco leale, nella competizione del mercato regolato, nella società meritocratica o solidaristica). Non ci si vergogna nella lotta per la sopravvivenza. Non ci si vergogna in una società del familismo amorale. Non ci si vergogna nell’ipercapitalismo e nella politica corrotta dove vale tutto per ottenere la prevalenza sul nemico.

La salvezza dal disastro in cui vive una società senza vergogna non è nel richiamo agli antichi sensi di colpa poiché in essa nulla è condiviso, ma nella conquista di un nuovo consenso sulla necessità civile di un sistema di regole, in nume di una prospettiva di progresso meno ineguale. Imho.

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  • Ciao
    C’è una certa letteratura sulla semiotica delle passioni, come saprai. Era tutto un filone di studio, dell’ultimo Graimas, di Lotman, di Paolo Fabbri. Semiotica delle passioni, e approcci narratologici. Funzionamento discorsivo delle configurazioni di senso patemiche (lol).
    Ma anche la distinzione di Olga Codispoti, dentro un libro di psicologia intitolato alla vergogna, è interessante: senso di colpa e vergogna sono cose diverse, e giustamente tu hai sottolineato l’aspetto sociale della seconda.
    Da cui deriva l’importanza secondo l’autrice di educare facendo leva sulla vergogna, eventualmente, e non sul senso di colpa, interiore e culturalmente interiorizzato (da noi cattolici in particolare, poi; in nordeuropa – collega il discorso con l’etica della responsabilità, come essere consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni – infatti la pedagogia insiste maggiormente sugli aspetti di “espiazione pubblica”, sociale).

  • È davvero un discorso complesso quello della vergogna, di cui siamo riusciti ad illustrare nel dibattito e nel convegno solo qualche tratto. Gli aspetti individuali sono indissolubilmente intrecciati con quelli collettivi ma naturalmente non si può sovrapporre psicologia e sociologia. Psicanalisi e storia della cultura, che nel libro del Prof Wurmser vanno a braccetto, ci aiutano meglio a capire. Gli eroi di Omero, ci ricordava già il Dodd, ricercano la buona reputazione collettiva (timè) e temono dunque più la vergogna che la colpa, popolando dunque una omonima civiltà della vergogna. Ma poi nel mondo occidentale è la colpa – spt., ma non solo, in forma di peccato cristiano – a prevalere, dando vita a quella civiltà della colpa cui Freud ha posto il sigillo di Edipo. Ora, non certo per la tanto deprecata quanto inconsistente “perdita dei valori”, ma piuttosto per la progressiva “fragilizzazione” della nostra identità individuale e collettiva nella società “liquida” (Baumann) attuale, c’è chi – come Schirrmacher – prefigura la (ri)caduta in una nuova civiltà della vergogna, che sarebbe più tipica delle società orientali, – in particolare quella giapponese ( secondo il celebre e peraltro piuttosto univoco e datato concetto della Benedict
    ne la spada e il crisantemo). Da qui l’affacciarsi di Narciso, che si sostituirebbe
    appunto ad Edipo. Ma a parte che colpa e vergogna è binomio obbligato in tutti noi
    così come, in modo più o meno pronunciato, in tutte le società orientali od
    occidentali che siano, non si tratta di fare della (mancanza di) vergogna, ci
    insegna Wurmser, un problema morale né per l’individuo né tantomeno per la
    società. Piuttosto di comprendere gli enormi potenziali distruttivi per sè e per gli
    altri di tale sentimento, spesso inestricabilmente associato a micidiali livelli di
    invidia e gelosia. Proprio il riconoscimento sincero di tali “bombe” emotive, a livello
    individuale nel raccontarsi terapeutico (talking cure, Freud ), e in uno storytelling
    collettivo condiviso ci può proteggere da attentati inconsci ed aprire la strada
    invece ad un confronto anche duro ma nel rispetto delle regole
    comuni invocate appunto da De Biase.

Luca De Biase

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