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Precauzione e previsione

Dovevano prevederlo? Non hanno fatto abbastanza per prevenirlo? Ci nascondono le previsioni? Di fronte alla tragedia giapponese, la necessità di reagire porta una parte dei commentatori nella direzione di cercare un colpevole per sfogare la sorda sofferenza di assistere impotenti alla sofferenza dei nostri simili.

E’ una necessità. La critica è sempre importante. Ma se diventa un’ossessione complottista non fa bene, né alla ricerca, né alla politica, né alla convivenza. Può paralizzare. Ma come si può trovare la strada per pensare tutto questo correttamente?

Il principio di precauzione è sacrosanto. Studiare tutto ciò che si può sapere prima di prendere una decisione che comporta dei rischi è fondamentalmente sano. E bloccare le decisioni troppo rischiose deve essere una pratica normale, anche se comporta rinunce. Sul nucleare, finalmente, larga parte dei territori si stanno orientando in questa direzione.

Quando si prendono decisioni che vanno contro ogni ragionevole precauzione si può legittimamente pensare che ci sia un complotto di corrotti e corruttori intenzionati a fare un investimento (e a ottenerne il guadagno conseguente) costi quel che costi. La speculazione edilizia può essere un obiettivo che spinge a non dichiarare sismica una zona che lo è. La speculazione sugli appalti può essere un obiettivo che spinge a decidere certe spese pubbliche anche per realizzare opere molto rischiose o a grave impatto ambientale.

Ma da qui a cercare sempre e comunque un colpevole c’è uno spazio da tener presente. Tanto per fare un esempio, non è vero, a quanto pare, che un terremoto si può prevedere. E non è vero che le centrali giapponesi non tenevano conto della possibilità di tzunami: ne tenevano conto, ma la difesa era basata sulla potenza degli tzunami degli ultimi tre secoli, e questo è stato purtroppo ancora superiore. Pensare che si sia sempre un colpevole può essere paralizzante.

Esiste purtroppo anche uno spazio nel quale le condizioni, naturali e non, vanno oltre il possibile intervento umano. Il limite del possibile si sposta con la ricerca e la tecnologia. Ma non scompare. E’ una lezione per una società che sembra voler rimuovere il pensiero della morte e che rimuovendolo si impoverisce di cultura, senso della realtà, e persino di vitalità.

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  • Sono d’accordo con la conclusione: una società- che definirei industrializzata per distinguerla da altre società che forse ancora ci pensano- che non pensa (più?) alla morte, che ancora si nutre del pensiero di un uomo invincinbile o comunque capace di dominare la natura e di aumentare, col passare del tempo, questa capacità. Di un uomo che, secondo questa concezione, non fa più parte della nutura stessa, è altro.

  • Aggiungerei una considerazione su quello che è stato detto da diversi esponenti politici, che il nucleare non va piu bene perchè dotarlo di nuove misure di sicurezza costerebbe troppo e che Fukushima Daichi è stato fatto a prova di ottavo Richter perchè farlo a prova di nono Richter sarebbe costato troppo. Posso dire che è un’affermazione ridicola ? La centrale ha resistito al nono Richter. I problemi sono dovuti alla mancanza di raffreddamento durata due ore a seguito dell’allagamento dei diesel a causa tsunami. Spostare i diesel su una piattaforma è un intervento che sconvolge gli economics di una centrale ? E’ recentemente uscito un libro che identificava come le piu’ pericolose quelle affermazione che non sono nè vere nè false, sono solo STRONZATE.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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