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Momento di passaggio nell’editoria delle applicazioni

Nel 2010, la Apple ha di fatto creato il mercato dei tablet. E, connettendo il concetto a quello dell’iPhone, ha rilanciato il mercato delle applicazioni. Concepite come software che girano su oggetti mobili e belli.

Il 2011 si annuncia come un grande momento di passaggio per questo mercato. Al Ces stanno per arrivare molti nuovi tablet con sistemi operativi diversi, da Android a Microsoft e a Palm (probabilmente), in attesa del Rim. Questo renderà più complesso il mercato delle applicazioni. Comprese quelle editoriali.

Ora dunque arrivano i problemi. E proprio nel momento in cui si leggono le notizie negative sul mercato delle apps editoriali su iPad. (Mondaynote). Che cosa succederà ora?

L’editoria dei magazine ha creduto in questo modello perché:
1. Il Kindle aveva dato la spinta al libro elettronico e dimostrato che è vero che si legge in mobilità, comprando i libri online con un oggetto sempre connesso
2. L’iPad era tanto bello e ricco di grafica da potersi candidare a svolgere la stessa funzione del Kindle per i magazine e i giornali
3. La logica economica del mercato delle applicazioni aveva pagato per diverse industrie, come quella dei giochi, e aveva replicato il successo della musica su iTunes: dunque poteva anche funzionare per i magazine.

L’editoria arrivava a prendere in considerazione le applicazioni dopo aver vissuto l’incubo della crisi della pubblicità del 2009. E sperava che le applicazioni riaccendessero il mercato dei giornali a pagamento anche nel digitale, dopo aver visto che sul web questo modello non passa. E ha pensato di poter contrapporre la logica delle apps a quella del web. Di questa idea si è fatto portavoce Chris Anderson su Wired, con il famoso e controverso (per non dire sbagliato) titolo estivo “il web è morto“. Anderson ha poi chiarito che l’eccessiva drammaticità della titolazione era un po’ dovuta a una scelta di comunicazione.

Ora scopriamo che le apps editoriali in vendita su App Store sono andate sempre peggio nel corso del 2010. E che funzionano quelle che si propongono gratuitamente con il supporto della pubblicità. La nuova ipotesi forte è che le apps sono un nuovo passo avanti della logica di internet e del web, non un passo indietro al mondo controllato della carta. (Bradford)

Le apps editoriali sono uscite con grande entusiasmo e molte sono state estremamente innovative, nel design, nei contenuti, nelle presentazioni grafiche animate. Si sono dimostrate interessanti per i lettori. Ma non abbastanza da convincerli a pagare fedelmente per ogni uscita.

Il problema è stato nei dettagli. E non solo. Perché talvolta, o molto spesso, salvo eccezioni:
1. Erano troppo pesanti da scaricare
2. Erano troppo simili ai giornali di carta dei quali erano emanazioni
3. Non si trovavano facilmente (perché non c’è un negozio di riviste sull’App Store)
4. Dovevano sottostare alle regole imposte dalla Apple che non sempre corrispondevano alla linea editoriale delle riviste e soprattutto alle logiche di marketing degli editori
5. Produrle era un costo che alcuni editori affrontavano più per ragioni di immagine che di sostanza
6. Avevano funzionalità di lettura elevate ma erano spesso poco interattive, poco connesse ai network sociali, poco… web
7. Erano troppe, troppo poche, con costi troppo diversi, in un mercato troppo immaturo, non facilmente comprensibile, molto definito dalla luce dell’iPad e dall’eredità web o cartacea delle testate che cercavano fortuna sul tablet.

I motivi per cui le apps a pagamento non vanno un granché bene sono diversi, ma si riassumono in una sintesi: le apps arrivano dopo il web e non ne cancellano la grandissima importanza culturale; possono creare una nuova fase dell’editoria digitale solo se offrono funzionalità molto innovative che però si aggiungono e non si oppongono alla cultura del web; ma a questo pone un freno la politica commercialmente restrittiva della Apple, il limite agli investimenti in ricerca degli editori, la conseguente mancanza di libertà d’azione dei progettisti che talvolta dimostrano di dover fare troppo i conti con il compromesso. La ragione vuole la sua parte.

Che cosa può succedere? Facciamo due scenari per le apps editoriali a pagamento:
1. Lo scenario peggiore per il prossimo anno – Nel corso del 2011 le apps editoriali a pagamento avranno altri problemi perché dovranno essere scritte in linguaggi diversi, tanti quanti saranno le piattaforme sulle quali si vorrebbe che girassero. Ci saranno sistemi editoriali per produrle in modo più industriale ma in questo senso diventeranno anche meno “originali” e diverse. Avranno ancora più difficoltà a farsi trovare. Costeranno sempre di più in termini di software e meno in termini di contenuti. Si innescherà un circolo vizioso. Solo alcuni sopravviveranno.
2. Lo scenario migliore per il prossimo anno – Nel corso del 2011, un’azienda come Google (o un’altra con analoga logica) creerà un’edicola virtuale con costi bassi per gli editori e lancerà una grande campagna per diffondere i tablet con Android (o con un altro sistema operativo alternativo a quello della Apple). Allora la Apple dovrà rispondere creando migliori condizioni per gli editori sulla sua piattaforma. I costi scenderanno, la libertà commerciale per gli editori migliorerà, si innescherà un circolo virtuoso. Molti nuovi entreranno in competizione e ci sarà spazio per diversi vincitori.

Per le apps gratuite con pubblicità la logica sarà diversa perché dipenderà dalla qualità del contenuto, dalla velocità di scaricamento, dalla forza di vendita delle concessionarie editoriali ma non avrà remore a connettersi con il web. Perché i contenuti gratuiti e la pubblicità connessa andranno logicamente anche sul web, sebbene con un design diverso. Avranno più lettori su tablet e avranno ancora più lettori connettendosi a pagine intelligemente collegate sul web. E quindi la pubblicità avrà un maggiore impatto. Con un circolo virtuoso. Sarebbe logico che fossero fatte in html5, per questo, ma non è obbligatorio per ora perché l’html5 non ha ancora editor sufficientemente facili da usare.

Tutto questo dovrebbe portare avanti la logica delle apps connesse al web e frenare quella della vendita di magazine digitali. Non è certo detto che sia questo il risultato finale. Ma i primi metri della valanga vanno in questa direzione e non nell’altra.

Del resto, perché mai dovrebbero vincere delle strategie anti-web?

Il vero tema è che le applicazioni devono avere qualcosa di speciale e pesare poco. Quindi devono risultare da un ottimo studio di software, design e contenuti. Se c’è una scommessa da fare, ancora una volta, è sull’innovazione.

Background su Editoria delle apps

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  • Io ragiono da consumatore. Consumatore non certo evluto ma di sicuro rientrante nel c.d. five million club. Ebbene, io non ho iphone e ipad (ho un cell, un Nokia C5) ne tablet, posseggo 2 pc desktop e 2 portatili (lavoro nel campo dell’informatica).
    Non ho mai sentito il bisogno di dotarmi dell’uno o dell’altro, e quando per ragioni di lavoro ne ho avuto la disponibilita’ non mi e’ passato per l’anticamera del cervello di scaricarmi un’app di alcun quotidiano per leggere gli stessi contenuti che trovo su di un molto piu’ comodo (sotto tutti i punti di vista) supporto cartaceo (che e’ un formato standard e universale a differenza delle app).
    Tutto questo clamore che hanno suscitato mi ha sempre dato l’impressione di essere uno sbrodolarsi addosso tra soggetti cmq “interessati” ma con poca propensione a farsi sostituire da un bambino di 5 anni nella valutazione dei loro lavori.

  • Luca, mi pare che tutti si preoccupino un po’ troppo dei downloads e nessuno invece pensi all’assenza del canale di ritorno, degli uploads.
    Mi riferisco alle comunità (morenti) intorno ai giornali. La cara amica della Stampa.it manda una mail per chiudere la community del giornale e non succede nulla. Invece dovrebbe far scalpore, come se la Juventus chiudesse il suo vivaio.
    Il vivaio è un luogo che deve essere ambito da migliaia di persone, così da poter scegliere i migliori per assicurarsi il futuro.
    Ma se rifiutano di capire che devono estrarre (plus)valore da chi lavora gratis per loro, che razza di capitalisti-editori sono?

  • Massimo, grazie, il tuo e’ un altro punto del problema. Da par mio posso solo dire che se nulla accade intorno alle comunity e’ solo perche’ gli editori, i redattori ed il pubblico non sono storicamente abituati ad aver alcun tipo di confronto. Si ci sono le tradizionali “lettere al direttore” e nei primi anni 90 del secolo scorso qualcuna ne ho scritta anche io (e qualcuna fu pure pubblicata) ma si tratta di cose molto marginali, il punto e’ capire pero’ il senso di queste comunity, per l’editore e per i partecipanti.
    Se sono solo un vivaio dove pescare buone firme allora all’editore serviranno ben poco (ed il possibile ritorno economico che generano spesso e volentieri e’ insignificante) visto che i migliori troveranno molte altre strade per proporsi, se sono solo una vetrina per aspiranti pennivendoli (detto con tutto il rispetto) perderanno interesse per me che tali aspirazioni non posseggo (come il 95% della popolazione attiva del resto) ma che sono interessato ad una buona discussione.
    Un’altra domanda che mi pongo, ma delle vendite citate fin’ora quante sono aggiuntive a quelle cartacee e quante sono sostitutive?

  • Sono d’accordo con @Massimo: il problema di fondo non sono i download di questa o quella applicazione ma la scarsa propensione a creare communities che abbiano un periodo di vita medio/lungo e che esaltino le capacità creative delle persone. Penso che in futuro dovremo tutti confrontarci con la wiki age e la realtà aumentata dai contenuti extra creati da utenti e appassionati dell’oggetto/valore attorno al quale si incontrano gli utenti di una community.

  • Grazie @Luca G e @Carlo,
    preciso che con le apps si è cambiata con successo la presentazione (la forma), ma su questo blog abbiamo la possibilità di scambiarci idee sulle relazioni con i lettori (la sostanza).
    Tra le idee, penso che prima c’era il lettore singolo e sequenziale: andava da solo in edicola tutti i giorni.
    Ora c’è la rete sociale dei lettori che ricevono e inviano segnali agli altri membri.
    Quindi, accanto alla (sempre più ridotta) attività singola e sequenziale, esistono reti sociali che non sempre seguono il giornale, ma solo quando sono avvertite su un singolo pezzo interessante.
    Lo scopo del giornale dovrebbe essere quindi creare una sua comunità online quanto più ampia possibile e attirare l’attenzione delle altre reti.
    Per questo il rapporto è molto più orizzontale, nel senso che il nuovo lettore si raggiunge per via di un altro lettore, e sempre meno per via diretta.
    Credo che la redazione debba cambiare per modellarsi a questa nuova morfologia, che è plasmata dal comportamento dei lettori.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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