Home » visioni » Baricco risponde: la profonda superficialità dei barbari
visioni

Baricco risponde: la profonda superficialità dei barbari

Difendersi dall’imbarbarimento aprendo le porte della cultura ai barbari. Alessandro Baricco è un grande scrittore. E il suo pezzo di oggi lo dimostra ancora una volta, con sapiente qualità intellettuale, grande senso delle proporzioni e molta umanità.

I barbari sono innovatori. Cercano sinceramente il loro mondo migliore e se non lo trovano lo costruiscono e lo conquistano.
Gli imbarbariti sono i decadenti, inconsapevoli, superati dalla storia.
Queste distinzioni di Baricco sono suggestive. Belle. Casomai, se si supera la bellezza delle forme letterarie e si approfondisce l’intuizione epistemologica, si può forse discutere sulle direzioni della ricerca di senso suggerite da Baricco. Superficie e profondità. Sopra e sotto. I termini di luogo sono meno significativi, in quest’epoca, per la ricerca (il senso non è in “cielo”, non è “sotto le apparenze”, non sappiamo dire altro che lo possiamo riconoscere nella vita…). Sembriamo piuttosto immersi in un mare nel quale non sappiamo “dove” sia il senso, piuttosto come “costruiamo” il senso (come fanno i barbari, appunto). Il bisogno di un “perché” resta immenso e quotidiano (la nuova civiltà).
Il pezzo iniziale di Baricco su Wired.
I commenti in qualche post precedente:

Commenta

Clicca qui per inserire un commento

  • Questa lettera è stata spedita a Repubblica qualche giorno dopo la risposta di Baricco a Scalfari. Ovviamente non è stata pubblicata; credo, immodestamente, per la sola ragione che che a scriverla non è stato un nome riconoscibile nell’ambito della ecclesia giornalistico-culturale.
    Su Baricco e i nuovi barbari
    Egregio Dottor Eugenio Scalfari,
    Stando alla distinzione baricchiana, ma solo per “vile” comodità giornalistica, “barbarico imbarbarimento” e “profondità superficie,” in mancanza d’altro, sostiene il nostro, quale luogo retorico rinvenibile in cui il “senso” sarebbe smarrito o disperso ma felice e contento di giocare al tramonto e all’alba delle civiltà, dico subito che, a mio giudizio, la differenza che taglia a longitudine tutta la questione è solo fra discorso sul senso, chiacchierata if you like, e comprensione cattura restituzione del senso dovunque gli pari di starsene. In breve fra discorso sulla cosa oggetto di pensiero e pensiero della cosa oggetto di discorso. Esempio: che il senso profondo di quanto accade all’umano stanziare e vagare, nella modernità, andasse sempre più rintracciato alla superficie della vita è stato mostrato da chi, attraverso sondaggi ed escavazioni della superficie fonda dell’esistere, ha visto nella superficiale chiacchiera e nella tecnica che avvolge la superficie dell’intero globo una dimensione esistenziale dell’esserci, singolo e collettivo, pervasiva del tempo contemporaneo. O da chi dalla superficie profonda della giornata di un non qualunque Bloom ha tratto – non detto o fatto discorso – portandola ad espressione, la profondità superficiale di tutte le questioni possibili perenni, grandi e minute che si sbattono nella testa, nel cuore e anche ad altezza d’inguine di ogni comune civilizzato o imbarbarito mortale, per vario grado e in vario modo. O da chi con interminabile sublime giro di periodi ha mostrato – non detto o fatto discorso – narrando la superficialità di un mondo, che la profondità di abissi di senso della sua sostanza poteva tutta stare e consistere in una curva di sopraciglio o nel gesto variato che regge e muove un ventaglio. O da chi rinchiuso in una stanza in fondo a un tunnel tenendo tutto nella simulazione – o dissimulazione – di un’esposizione da verbale di cancelleria o da cronaca di una visita in un villaggio, alla superficie ha fatto arrivare – non detto o fatto discorso – il ribollire sordo e infuocato del magma di angosce speranze desideri paure che lavica e fa pietra la mortale esistenza. Da chi, e qui la finisco, ha detto mostrandolo – non fatto discorso – che tutta la profondità di senso sta nell’uso quotidiano, cioè superficiale, del nostro linguaggio. Qui mi fermo, ma l’elenco potrebbe contenere ancora molte figure di pensiero che nel secolo scorso hanno scavato in profondità, non per il gusto di coltivare gli abissi di senso, ma per catturare tutto il senso possibile della superficialità della vita in svolgimento, che sta tutto li, con tutto il resto ammassato e confuso, a fare senso; pensando la cosa, appunto, non certo facendone occasione per una culturale chiacchierata, intesa in neutra accezione.
    Questo per quanto riguarda quel “crocevia della profondità”, che a me sembra più un dedalo di vie, ma dipenderà forse dalla diversa conformazione urbanistica dei quartieri frequentati, e che Baricco sembra vivere e sondare con timorosa curiosità solo perché sembra esserci ora arrivato, e forse è questa la ragione, come lui stesso ammette, non solo quindi esigenze giornalistiche, della semplificazione del tutto. Infatti, fra qualche anno, dice di esserne sicuro, ne scriverà meglio. Aspettiamo e speriamo. Comunque, si tranquillizzi Baricco, non c’è proprio il rischio che colpisca a morte alcunché, già un’intera schiera di barbari, secondo la baricca classificazione, se ne sono occupati e preoccupati per tutta una buona pezza di tempo a cavaliere fra metà ottocento e metà novecento, tralascio i nomi per non aggravare la pazienza di chi legge, già da me messa a dura prova. Semmai, a me, quella di Baricco, la mossa la parola il gesto, sembra una lisciata di pelo, neanche contropelo, della superficie dei tempi presenti, altrimenti come farebbe ad avere un successo snob presso la folla acculturata che frequenta anche i centri commerciali (basta visitarne i negozi di libri) e segue i reality, quasi con la stessa passione con la quale legge Baricco? Attenzione, non ho nulla contro il successo, dico solo che Baricco non è Jobs o l’inventore di Google, che vendono le loro invenzioni barbariche, ma uno che vende le civilissime pagine che scrive, uno che scrive insomma, come lei, e come me in questo momento. E chi lo legge? I nuovi barbari? Ma se non hanno letto neanche Flaubert! figurarsi Baricco. E anche su un’eventuale paventata dolance di snobismo a lui rivolta, Baricco si tranquillizzi pure, nessuno, a meno di non essere un totale imbarbarito ignorante, ma questi non leggono neanche i cartelli stradali, gli darebbe mai dello snob. Ma perché mai si preoccupa? – mi chiedo e le chiedo -; scrive così bene piatto – pardon – piano e chiaro che mai alcuno potrebbe pensare che vuole snobisticamente selezionare e separare. E se Baricco sembra darsi a tratti l’aria un po’ barbaricca-snob dell’intellettuale “ritoccato” – neanche fosse un attore, dice compiaciuto; e se lo fosse davvero, invece? – in posa barbarica sul tramonto della civiltà occidentale a scrutare futuri prossimi – già tutti passati – nessuno si adombri, perché egli, nell’eventualità, vi sta con calco lieve, quasi sospeso, in touch direbbe lui, come la tecnologia Apple. Sì, un pensiero e una scrittura touch quella di Baricco, “tipicamente” senile, come quando ormai nonni e già anziani si pensa di poter mostrare ancora valentia giocando sempre a cavalluccio con i nipotini, piuttosto che meditare Pascal e prepararsi alla morte, dovessero pure passare molti anni; anzi, tanto di più – ed è il mio augurio a tutti gli anziani, nonni e non – se molti anni ancora avessero a passare.
    Non so, ma a me questa cosa dei barbari che sopprimono “il luogo e il mito della profondità” mi suona tanto figura dello schermo per ingaggiare polemica tenzone, non si capisce, almeno io non capisco, bene con chi. E comunque, cercando di venire alla fine, mi sembra che a Baricco, se qualcosa invece ho capito, piacciono i barbari, ma vorrebbe anche che noi tutti – lei per primo, che dei barbari, non per anagrafe, non avendo Lei l’età del figlio di Baricco, ma honoris causa farebbe parte, secondo il lauro riconosciutogli dal nostro – lo riconoscessimo per tale, anche se a me, lo confesso, non sono chiari quali sarebbero i suoi meriti barbarici. Perché, se barbaro è colui il cui sistema di pensiero “non elimina il senso ma lo ridistribuisce su un campo aperto” in cui, dico io, non sopprime il luogo della profondità, ma lo trae in superficie, lo porta fuori e mostra, perché solo così la superficialità della vita, anche tutta quella che accade intorno noi e in cui anche noi stiamo confitti, può ricevere comprensione e sapere, allora barbaro è, ancora oggi e per domani, Proust, Joyce, Kafka, Musil, a suo modo anche Borges e – perché no? – anche il buon Barney Panofsky, con la sua versione dei fatti, e a pensarci anche Richard Ford con la sua trilogia. Questo per stare ad alcuni dei pochi “scrittori” che un poco conosco. Ora se di questa razza e stazza – non in tutti di pari peso – sono i barbari, perché del senso non hanno fatto discorso, ma avuto pensiero e cura, ciascuno a suo modo, cogliendolo nella profondità della superficialità per dargli espressione e mostrarlo, allora il ragionare di Baricco, che è soltanto discorso sulla cosa oggetto di pensiero, polito e corretto, una bella coltivata chiacchierata fra amici, mi sembra figurare, così come questa mia – stando alla suddetta distinzione – come un aspetto dell’imbarbarimento della vecchia civiltà, una schiuma “chimica”, letterariamente gradevole – certo non questa mia -, che degli elementi dell’epoca combina, cattura o produce nessun nuovo senso, né in superficie né in profondità. Un ragionare che nella ricercata e pretenziosa rottura di schemi della nostra tradizione – “ribellione” – mostra tutta la corrività politica di un correttissimo pensiero: lo “scarico” fisiologico di un epoca – tramontante per l’intenso e lungo riverbero che ancora rilascia – di fatto tramontata; un’epoca auto-fagocita, che sta finendo di mangiare se stessa, ma che ancora tutto trangugia e digerisce.
    Non sempre bene.
    La lettera – pure questa mia – ne è prova.
    Cordialmente,
    Sebastiano Lisi

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

Video

Post più letti

Post più condivisi