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Ahref al servizio delle persone

La testimonianza di Concita De Gregorio su Wikipedia va presa come un segnale: la cultura della rete non è facile da comprendere neppure per le persone più aperte e costruttive. E le reazioni raccolte a Pesaro sull’importanza dei social network per la costruzione di un migliore sistema dell’informazione dimostrano che c’è ancora molta strada da fare: si sentivano diversi interventi, in effetti, nei quali la rete veniva descritta come tendenzialmente orientata a fomentare piccoli gruppi di interessi omogenei e visioni del mondo chiuse piuttosto che come un territorio di dibattito aperto. Sono segnali da prendere in considerazione con attenzione.

La rete aperta e neutrale è un luogo nel quale chi vuole fare qualcosa di innovativo può esprimersi meglio. Ma è un luogo che può aiutare anche le iniziative più conservatrici. E’ chiaro che il risultato non si può valutare senza tener conto che al centro della questione c’è il bene comune della rete, che di per se è aperto, mentre il modo di utilizzarlo o sprecarlo dipende da chi prende le iniziative.

In questo contesto, Ahref.eu può essere d’aiuto. Se riuscirà a introdurre nel gioco della rete un sistema di “incentivi” culturali, pratici e teorici, che coinvolga persone con orientamento diverso ma capaci di riconoscere il valore di coltivare un territorio comune che arricchisce tutti dal punto di vista della conoscenza diffusa, metodologicamente consapevole. Questa settimana la nuova fondazione può partire. E anche questo blog servirà a dar conto del suo percorso, con tutta l’umiltà richiesta da un tema enorme, delicato, importante, denso di diversità e punti di vista. Con un’idea in testa: la rete non si comprende bene se la si prende in considerazione solo come se fosse un medium da criticare nella sua interezza ma tenendo presente che è sempre uno strumento da usare per ogni innovazione si ritenga possa servire. Ogni suggerimento è importante.

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  • Ne avevo sentito parlare: il manifesto delle intenzioni è assolutamente condivisibile. Speriamo che le auspicate interazioni, conversazioni, sperimentazioni siano realmente attivate, senza bisogno di “password” e senza “silenzi-non assensi”.
    In bocca al lupo.

  • Luca, spero non ti sia sfuggito questo: http://www.ilpost.it/2010/09/03/i-rischi-dellattivismo-da-clic/
    Effettivamente, in certi casi le promesse della rete come luogo di conversazione aperta si stanno rivelando piuttosto errate. Il meccanismo degli “amici” di Facebook, poi, a differenza dell’apertura dei blog “tradizionali”, determina molto facilmente quella deriva per cui finisci per parlare solo con chi è già esattamente delle tue opinioni. O, al massimo, con gente appartenente a un’altra parrocchia, ma sempre della tua stessa fede…

  • Il tema è stato troppe volte preso dal verso sbagliato (dalle proposte di legge per registrare i blog come testate giornalistiche, al tentativo di proibire l’anonimato sul web: la punibilità di chi sbaglia).
    Di fatto, l’approssimazione e l’inesattezza sono dirette conseguenze della forte connotazione democratica di internet: tutti possono mettere tutto, indipendentemente dalla verifica delle proprie fonti.
    Ora si tratta di tutelare coloro che, nel calderone di internet, cercano informazioni.
    (suona un po’ come “il fine ultimo” dell’ordine dei giornalisti…)

  • Luca in bocca al lupo. @Corrado il rischio che menzioni è alto in piattaforme ampie come Facebook.
    Credo che si tratti di tutt’altro genere. Insomma non rimane che aspettare.

  • Ciao!
    Un po’ di shameless self-promotion (o magari due libri da citare ad una riunione per fare bella figura … 😉
    Spero di non averteli gia’ suggeriti, senno’ ti accorgi che il mio bagaglio di citazioni e’ un po’ ridotto ;))
    —-
    Relativamente al futuro di Internet e del Web, ovvero al bilanciamento tra una rete a isolotti (“piccoli gruppi di interessi omogenei e visioni del mondo chiuse”) e un territorio di dibattito aperto, io cito sempre due estremi.
    Ad esempio dal paper “Trust metrics on controversial users: balancing between tyranny of the majority and echo chambers”, io identifico i due estremi con:
    * tirannia della maggioranza (da “Democracy in America” Alexis de Tocqueville, 1835 e “On Liberty” John Stuart Mill)
    * “echo chamber” or “daily me” (dal libro “Republic.com” e “republic2.0” Cass Sunstein, un costituzionalista che argomenta come ci sia il rischio che la societa’ si spacchi in “piccoli gruppi di interessi omogenei e visioni del mondo chiuse”.
    Il paper lo trovi a http://www.gnuband.org/papers/trust_metrics_on_controversial_users_balancing_between_tyranny_of_the_majority_and_echo_chambers-2/
    Qui sotto copio e incollo la parte rilevante verso la fine, enjoy! 😉
    Actually, the basic assumptions behind a choice for a global or a local trust metric influence significantly the kind of society they can induce. A global trust metric assumes that there are globally agreed good peers and that peers who think different from the average are malicious. This assumption encourages herd behavior and penalizes creative thinkers, black sheep and original, unexpected opinions.
    What we would like to underline is that there is a “tyranny of the majority” risk, a term coined in 1835 by Alexis de Tocqueville in his book, Democracy in America [4]. The 19th century philosopher John Stuart Mill in his book “On Liberty” [16] also analyzes this concept, with respect to social conformity. The term “tyranny of the majority” refers to the fact that the opinions of the majority within society are the basis of all rules of conduct within that society, so that on a particular issue people will align themselves either for or against this issue and the side of greatest volume prevails. So
    for one minority, which by definition has opinions that are different from the ones of the majority, there is no way to be protected “against the tyranny of
    the prevailing opinion and feeling” [16].
    (Note: This definition is extracted from Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/On Liberty) which interestingly tries to find a balance between what different people think about every single topic, by asking to the contributors to adopt a neutral point of view (NPOV). This seems to work well enough for now, possibly also because the people who self-elect for editing Wikipedia articles largely share a similar “culture”. However the frequent “edit wars” (http://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Edit war), particularly evident on highly sensitive and controversial topics, show that it is and will be hard to keep this global and theoretically unbiased point of view.)
    However we believe the minority’s opinions should be seen as an opportunity and as a point of discussion and not as “wrong” or “unfair” ratings as often they are modeled in simulations in research papers. Moreover, on digital systems, such as online communities on the Web, automatic personalization is possible and so there is no need to make this assumption and try to force all the users to behave and think in the same way or be considered “unfair” or “wrong”.
    However there is a risk on the opposite extreme as well that is caused by emphasizing too much locality in trust propagation by a local trust metric. This
    means considering, for example, only opinions of directly trusted users (friends) stopping the propagation at distance 1. This risk is called “echo chamber” or “daily me” [20]. Sunstein, in the book Republic.com [20], notes how “technology has greatly increased people’s ability to “filter” what they want to read, see, and hear”. He warns how in this way everyone has the ability to just listen and watch what she wants to hear and see, to encounter only opinions of like minded people and never again be confronted with people with different ideas and opinions. In this way there is a risk of segmentation of society in micro
    groups who tend to extremize their views, develop their own culture and not being able to communicate with people outside their group anymore. He argues that, in order to avoid these risks, “people should be exposed to materials that they would not have chosen in advance. Unplanned, unanticipated encounters
    are central to democracy itself” and that “many or most citizens should have a range of common experiences. Without shared experiences, (…) people may
    even find it hard to understand one another” [20].

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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