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Ricerche sullo sguardo

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Esistono ricerche sullo sguardo? Molte. Il cinema dello sguardo ne ha sugerite diverse. Così come la fotografia e l’arte figurativa. I link sono del tutto insufficienti a dare un’idea della vastità dell’argomento. C’è persino chi, come Ninjia, presenta il tema del tracciamento dello sguardo sui banner nei social network.

Ci starebbero anche ricerche sullo sguardo in senso antropologico e neuroscientifico. Lo sguardo è un insieme di espressione e funzione. Nasce dall’attività di vedere, sboccia nel momento in cui incrocia un oggetto o una persona da vedere, esprime il modo in cui si sente chi vede e persino come reagisce a ciò che vede.

Lo sguardo è una traccia momentanea della cultura e della fisiologia dell’interazione tra le persone e il resto del mondo.

Ma le domande si moltiplicano. Esistono sguardi cinesi, americani, italiani, indiani? Esistono sguardi da suddito, da violento, da furbo, da pacifista? Esistono gli sguardi di società aperte e chiuse, imperiali e democratiche, competitive e cooperative? O esistono solo le interpretazioni individuali della condizione umana?

Lo sguardo cambia mentre entrano in funzione i neuroni specchio e si immagina che cosa significhi il gesto dell’altro appena incontrato. Cambia in funzione delle emozioni. E dei pensieri razionali.

Ma lo sguardo cambia, si adatta, si abitua alle circostanze: in una società nella quale tutti possono essere spie di un governo autoritario, oppure nella quale tutti portano una pistola in tasca, oppure nella quale la maggior parte della gente lavora in una cooperativa. Oppure, dove la religione, l’ideologia dominante, l’educazione diffusa propongono una vita non violenta, orientata a incentivare comportamenti morali. Oppure, dove tutti sono lupi e ci si aspetta che ogni giorno si possa essere sbranati o si sia costretti a sbranare.

Lo sguardo cambia. Può far paura. O sancire la pace. O essere, come quello di Vincent Van Gogh, uno sguardo di chi guarda, destinato alla ricerca, umile e curioso, sempre più stupito che giudicante.

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  • esistono anche studi e progetti sul viso “assoluto”, senza espressività, senza sorriso, senza che voglia essere bello o voglia comunicarti qualcosa.
    Alla fine quello che conta e che buca lo schermo è proprio lo sguardo è solo lo sguardo. Guarda la foto nella home di Facity http://www.facity.com/

  • ..e poi ci sono gli sguardi dei bambini, quelli dei vecchi e non dimentichiamo che non ci sono quelli degli umani, ma quelli dei cani, delle aquile, dei pesci tropicali….e quelli dei cartoni? chi ha dimenticato lo sguardo di bambi?

  • dimenticavo una curiosità. Per un periodo della mia vita ho fatto la food stylist, quando photoshop non esisteva ancora. Ci sono sguardi da cercare anche nelle cose, nellaforma delel foglie nellaloro piegatura, i tratti somatici di un picciolo di pomodoro possono comunicarci o meno al sua freschezza. vale come sguardo?

  • Questo è un argomento assolutamente affascinante. Vi consiglierei di leggere (in inglese) questo articolo dallo stesso Malcolm Gladwell (The Turning Point, Blink, ecc) pubblicato nel 2002 nella rivista The New Yorker, “The Naked Face” http://www.gladwell.com/2002/2002_08_05_a_face.htm
    L’articolo è strapieno di spunti interessanti. Ad esempio, per quanto riguarda la domanda, “Esistono sguardi cinesi, americani, italiani, indiani?”, una risposta c’è:
    “…he began travelling to places like Japan, Brazil, and Argentina, carrying photographs of men and women making a variety of distinctive faces. Everywhere he went, people agreed on what those expressions meant. But what if people in the developed world had all picked up the same cultural rules from watching the same movies and television shows? So Ekman set out again, this time making his way through the jungles of Papua New Guinea, to the most remote villages, and he found that the tribesmen there had no problem interpreting the expressions, either. This may not sound like much of a breakthrough. But in the scientific climate of the time it was a revelation. Ekman had established that expressions were the universal products of evolution…”

  • @gianna, interessante quello che dici sugli sguardi dell’inanimato. Trasmettono freschezza, armonia, audacia e tant’altro. Non sono delle cose ma di chi le guarda 🙂 Un realista riuscirebbe ad affermare che non esistono pur di negare se stesso. E loro lo scruterebbero indispettiti.

  • beh emanuele un po è così, lo sguardo è anche negli occhi di chi guarda, come la bellezza. Il criterio con cui un sorriso è tale se gli angoli delle labbra sono voltati all’insù vale anche per una foglia di basilico che se vedo le puntine belle dritte ti fanno freschezza se le vedi piegate e mosce ti fanno marciume incombente.
    E io non direi che le cose sono inanimate…ho conosciuto certi pomodori che facevano di tutto per farmi incavolare, certe mozzarelle che non filano dritte, certi vini rossi che non volevano invecchiare per quanto colorante ci mettessi dentro….in definitiva come gli umani 😉

  • Concordo con un realismo dal volto umano 🙂 In effetti chi può dire quanto c’è di nostro rispetto a quello che c’è in giudizi estetici? Se si pensa alla bellezza e non al piacere dello sguardo (di chi guarda) è più facile distinguere, abbiamo le convenzioni a fare da sponda. Un attimo mi avevi quasi convinto però.. Se come sostieni, sono le cose animate con proprie configurazioni che emanano e quindi sono indipendenti da nostri meccanismi attributivi, questo varrebbe a condizioni che tali sensazioni siano state concettualizzate prima da noi e in seguito usate per apprendere il nuovo (?).
    Del tipo.. se le espressioni osservate che mettono in contrasto le forme visibili “verso l’alto” e “verso il basso” effondono sensazioni positive le prime (freschezza) e negative le seconde (caducità), magari è perché lo schema concettuale che ormai ci portiamo dietro, ha appreso dalla natura che solo chi riesce a contrastare la gravità è forte, fresco, sano ecc Se si ammette questo si dovrebbe anche ammettere che la natura non esiste se non per come è stata elaborata dalla nostra cultura? Credo di no, ci saranno sempre mozzarelle che non filano dritte anche per me, e che sfuggono 🙂

  • Ekman had established that expressions were the universal products of evolution..
    però non ti pare affascinante che questa discussione si sviluppi nel posto ove gi sguardi non esistono? E se la rete avrà ancora più sviluppo in futuro anche con mezzi visivi ma alquanto limitati nella dimensionalità, come si evolveranno i nostri sguardi? saranno solo unidirezionali verso la webcam? nessuno si guarderà più “di sottecchi” o “storto” solo sguardi diretti? beh magari sarà un passo avanti…

  • La scrittura è meno afrodisiaca dello sguardo, vuole l’ipoteca della durata. E’ come dover aspettare un autobus che sai già che ritarda e non sai chi c’è dentro. Parte anche monca con l’immagine, non a caso le chiede in prestito la metafora, dando un biglietto fittizio a chi legge affinché possa accorciare quella distanza e non annoiarsi con l’attesa. Per questo forse è più affascinante però, una volta creata quell’attesa, un pò perché si è perso già tempo, un pò perché abbiamo dovuto riempirla d’immagini che non ci sono, rimane più difficile tirarsi indietro. Almeno molto di più che girare lo sguardo. E l’immagine sarà sempre più veloce, ma senza i freni della parola non farà molta strada. E’ andata in sermone.

  • ..in poche parole, metaforiche, dobbiamo farcelo durare a lungo quando ce la potremmo cavare con una sveltina….
    beh è una teoria 😉

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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