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Il pericolo sempreverde dei walled garden

Alfredo Paone, in un commento a un post precedente, sottolinea il pericolo che le nuove iniziative editoriali sull’iPad richiudano il flusso dell’informazione che la rete aveva aperto.

Ho l’impressione che ci sia un equivoco in materia. Anche in piena epoca di internet i giornali restano walled garden, almeno nelle loro versioni di carta. E nelle versioni online, oltre a non essere completi, sono anche spesso poco orientati a linkare fuori. Addirittura dichiarano talvolta di soffrire dei link verso i loro articoli che si trovano su aggregatori à la Google News. Sono chiaramente degli errori. Ma la tentazione del walled garden è connaturata alla struttura dei giornali in quanto gestori di una ricchezza di notizie della quale gestiscono il copyright. Il che si può giudicare bene o male ma è nel loro diritto. In fondo, hanno un conto economico da portare a casa. Casomai si può discutere se così facendo non rovinino proprio quel conto economico.

Sta alle iniziative della rete di mantenere ricca e viva la parte del sistema dell’informazione che può esserlo. E finora obiettivamente questo non è mancato.

Anche con l’iPad gli editori ragioneranno come al solito. Mantenendo il più possibile sotto il loro controllo il flusso del valore che con la loro attività sono in grado di generare. Non vanno biasimati per questo. Al massimo andrebbero biasimati se non lo facessero e se non facendolo cercassero invece di frenare l’innovazione che viene dai generatori aperti di informazione. La rete non è una macchina per distruggere gli editori. E’ un sistema per arricchire l’informazione. E se mette in difficoltà gli editori è perché gli editori non si sincronizzano con le logiche della rete, non perché ha l’obiettivo di mettere in difficoltà gli editori. Naturalmente chi usa la rete per fare informazione può avere l’obiettivo di distruggere gli editori: e ne ha ogni diritto. Casomai si può discutere se quell’obiettivo sia intelligente. Ma in ogni caso la rete non ha quell’obiettivo: ha solo l’obiettivo di funzionare in modo aperto e secondo uno standard pubblico.

Gli editori devono capire la rete, adattarsi e sperare di essere adottati dalla rete, non possono sperare di fermare la sua innovazione ma sarebbe anche bene che, comprendendo la rete, non tentassero neppure di farlo. Quello che devono fare è sperimentare nuove forme di produzione di informazione che siano compatibili con la rete, la arricchiscano, la servano e la trovino pronta ad accettare il valore editoriale che producono. In questo quadro, l’iPad è uno spazio in più che nulla toglie al web, fino a prova contraria. Casomai fa concorrenza al web: ma il web non ha mai avuto paura della concorrenza.

Il punto sul quale si dovrebbe stare attenti e forse lo si è troppo poco è che la rete mobile non resti così poco neutrale come ora. Anche sul mobile la rete dovrebbe essere neutrale. E la mancanza di neutralità della rete mobile è una premessa della creazione di nuovi walled garden. Ma da questo punto di vista l’impatto della Apple e dell’iPhone non è stato di chiusura: ha tolto potere alle compagnie mobili e creato un comportamento internettianamente più consapevole anche sul mobile. Producendo abitudini e bisogni che potrebbero portare a migliorare la neutralità della rete in chiave mobile. La Apple su questo percorso è arrivata solo fino a un certo punto. Quello che manca sarà portato avanti da altri. Se ci riusciranno. Ma questa è un’altra storia.

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  • Si Luca,
    condivido il tuo discorso ma…
    Dov’è la rete nelle applicazioni per ipad/iphone/…? Nel protocollo?
    Dov’e’ la condivisione delle informazioni (aka “molti a molti”) che tanto ha cambiato il modo di concepire le relazioni umane in questi ultimi anni?
    Con queste applicazioni si ritorna a un meccanismo di fruizione “uno a molti”, standard del web 1.0 (brrr l’ho detto) per di piu’ chiuso da una applicazione che trova necessità solo nell’ingabbiare l’utente. Con i browser attuali e la tecnica dei css mirati al dispositivo non vedo nulla che giustifichi l’applicazione dal punto di vista tecnico.
    Fatti salvi gli interessi degli editori, francamente continuo a considerare questa “moda” un grosso passo indietro.
    Ciao

Luca De Biase

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