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Ricerca

Alcuni – moltissimi – italiani sono ottimi ricercatori. Ma l’Italia non fa di tutto per accoglierli come meritano: perché sono tra i grandi generatori di valore dell’economia della conoscenza.

Il caso Glaxo è l’ennesimo. E Stefano Micelli, Antonio Santangelo, oltre a questo blog, ne parlano con la consapevolezza di quanto sia grave.

Anche perché è sottovalutato. Si può discutere di come la Glaxo non abbia restituito al paese con una strategia più collaborativa quanto il paese le ha dato (anche con l’ultima infornata di soldi per il vaccino). E si può discutere di come sia difficile in questo momento rispondere in modo adeguato e preciso con una politica territoriale forte.

Ma non si può non vedere che:
1. La ricerca genera valore aggiunto a lunga scadenza. Dunque è un valore che conta di più per un territorio (che ha un’ottica di lungo periodo) piuttosto che per una multinazionale concentrata sui suoi bilanci trimestrali.
2. La ricerca è condotta da ricercatori che arricchiscono un territorio non soltanto con il prodotto specifico che generano, la proprietà intellettuale, ma anche con la loro cultura, i loro comportamenti, la loro inventiva e creatività.
3. La ricerca genera risultati quando si pone le domande giuste. E queste nel tempo cambiano. Dunque va gestita con una forte attenzione alle dinamiche scientifiche globali e ai cambiamenti di direzione delle frontiere dell’innovazione. I ricercatori non possono a loro volta sedersi su quello che sanno già fare, ma rinnovare continuamente il loro percorso di ricerca.

Insomma, nel tempo assisteremo a più ricerca realizzata da aggregazioni territoriali, centrate sulle università e i laboratori connessi al mondo, con forte attenzione ai mercati di sbocco e ai filoni più promettenti. Con una strategia di lungo termine.

Ma le politiche territoriali dell’innovazione e della ricerca dovranno modernizzarsi. Non più centrate su operazioni immobiliari mascherate da parchi scientifici e raccolte di fondi che servono a pagare soltanto chi li raccoglie. Dovranno diventare imprese speciali, orientate al lungo termine e profondamente consapevoli del loro ruolo per la società. Altrimenti, non avranno successo.

Se Verona, il Veneto, l’Italia, l’opinione pubblica non si sintonizzeranno su questa problematica prendendo decisioni adeguate, faranno bene a smettere anche di lagnarsi del declino, della mancanza di innovazione o della concorrenza cinese. Senza ricerca, alla lunga, c’è povertà. Economica, sociale, culturale.

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  • Oggi ho incontrato nel mio ufficio un tale (non è un tale qualsiasi) che conoscevo da venticinque anni sotto un’altro cappello che ha messo in piedi un’azienda per fare consulenza a chi in Italia vuole fare offshoring delle attività di ricerca e sviluppo dove la combinazione di livello di educazione-costo della vita-rapporto relativo delle valute è più favorevole. E mi diceva che stante la produttività sempre più bassa della ricerca in Italia, è l’unico modo conosciuto per recuperare competitività a livello internazionale. Chi vuole saperne di più (magari solo per dissentire con lui) mi scriva.

  • Purtroppo trovo sempre più spesso genitori dei coetanei di Giacomo, mio figlio, che pensano che il futuro per loro – i nostri figli – sia all’estero. Per qualcuno è una scelta ideologica, per altri una soluzione organizzativa.
    Tutti rinunciano a fare una battaglia, una battaglia di idee, di osservazione della realtà, di paziente ricostruzione di alternative credibili. L’importante, imho, è sapere che non ci sono porti felici cui tornare. Occorre traversare l’oceano. Nei porti toccati, anche in un passato remoto, non c’erano condizioni felici: c’erano pastoie, privilegi, protezioni che hanno creato il mondo com’è oggi.
    L’unica è alzare le vele, con coraggio, ricercando il nuovo

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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