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Big data media

Data mining attivo

Si scopre che le Poste Italiane, come del resto pare la Telecom Italia, sono interessate a sviluppare prodotti da offrire alle aziende, con sistemi di raccolta di dati sui consumatori basati sull’utilizzo dei media sociali. Dati aggregati, naturalmente, che non mettono in discussione la privacy dei singoli. E fino a prova contraria questa è la realtà.

Il potenziale conoscitivo che i movimenti online delle persone è enorme. Ad Amazon, 35 milioni di utenti, fanno addirittura esperimenti sui movimenti dei consumatori, cambiando un po’ la forma delle pagine, il numero di prodotti offerti alternativi in una stessa pagina, i prezzi e gli sconti, per studiare le reazioni e le preferenze dei consumatori.
Un gioco lanciato su Facebook può diventare un sistema di raccolta di idee e atteggiamenti degli utenti in relazione a un particolare valore, prodotto, concetto. Una tecnica di lettura della società che è tutta da sviluppare.
E’ un bene o un male? Il miglioramento della conoscenza è un bene, a priori. Le azioni che gli utenti fanno online sono in effetti significati e possono servire a chi li legga attentamente per migliorare. Ne emergerà una migliore conoscenza della società su di sé, soprattutto se i risultati saranno pubblici e disponibili. Il rischio è che queste conoscenze restino confinate negli uffici marketing di poche imprese. E che siano pensate con una griglia interpretativa vecchia, tipo quella dei target teorizzati dal marketing tradizionale: le persone non sono target e non vogliono più esserlo. Se si sentiranno pensate così, reagiranno limitando le informazioni su di loro che lasciano utilizzare. E la società avrà meno possibilità di conoscere se stessa.
Una conclusione però si può già trarre. E’ nata un’alternativa ai sistemi sondaggistici tradizionali. Le informazioni che le persone lasciano in rete sono molto più ricche. Resta la capacità di porre le domande, che è fondamentale, ma le risposte sono già online da qualche parte. Gli istituti di ricerca tradizionali si adatteranno. E insegneranno alle aziende che esistono modi molto più avanzati per conoscere e dialogare con il loro pubblico.

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  • Forse bisognerebbe dire che Poste Italiane e Telecom hanno finalmente scoperto che da anni esiste un’alternativa ai sistemi sondaggistici.
    Certo ne hanno di strada da fare per recuperare il ritardo accumulato nei confronti di Google/Ebay/Amazon…

  • Non èforse quello che succedevanegli anni ’70 quando nei supermercati iniziarono a monitorare come la gente si muoveva tra gli scaffali? O l’idea di cambiare posto alla merce per costringerci a girare finendo col mettere nel carrello più cose di quello che veramente serve. Non è negativo di per sè, anche perchè io noto con piacere che se evolvono tali tecniche che cercano di ingabbiare i comportamenti del consumatore, anche il consumatore evolve imparando a sopravvivere e ad aggirare quelle più intrusive. Il consumatore digitale poi è per sua natura più scaltro e dato che è sempre più giovane, è sempre meno schematico rispetto ai modelli che gli uffici marketing possono elaborare.

  • Questo pregiudizio sul marketing è proprio duro a morire. Non capisco per quale motivo una ricerca di mercato dovrebbe avere lo scopo presupposto fraudolento. Capisco bene che l’over promising abbia creato delusioni enormi, ma siamo sicuri di non scambiare l’arma del delitto con l’assassino? La pubblicità non si occupa di indagini dei mercato se non per il suo scopo particolare, persuadere. Non confondiamoci, la consumer insight e in genere tutta la conoscenza per definire le aspettative di una domanda sono funzionali sia all’impresa che all’acquirente.
    Che tali conoscenze siano rese di dominio pubbliche Luca è improbabile se finanziate da privati. E’ ora che le ricerche di mercato seguano altri modelli teorici e altri strumenti d’indagine. In queste nuove aree vengono dirottate le molte risorse che prima finivano nel comparto della comunicazione pubblicitaria.
    Per i detrattori per partito preso è una buona notizia, almeno se riconoscessero la differenza tra ricerca e pubblicità.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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