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Visioni editoriali mancanti

La crossmedialità declinata in molte forme è stata teorizzata anche nella forma del megagiornale proposto da NewspaperNext. Stefano ne riprende il concetto in chiave tecnologica.

L’approccio resta teoricamente importante. In pratica, il flusso delle idee e delle informazioni, da scoprire, da esprimere, da adattare ai mezzi, da fruire e riutilizzare, viaggia nell’approccio crossmediale su una megapiattaforma composta di formati (testo, video, audio; Stefano aggiunge correttamente visualizzazioni e simulazioni), canali (internet, etere, ecc) e device (carta, cellulare, computer, tv, ecc).

Interessante, in questo contesto la proposta di Stefano sul ruolo dell’editore: “il billing, le interazioni con altri utenti, la profilazione, la georeferenziazione, l’archiviazione, la correlazione, la gestione di segnalazioni e
notifiche, la partecipazione ed altre funzioni che aggiungono valore all’utente”. In pratica, l’editore sarebbe colui che riesce a valorizzare il flusso delle informazioni, creando varie forme di scarsità o alimentando varie forme di partecipazione del pubblico.

In realtà, gli editori sono molto preoccupati per la perdita di valore dei loro canali e delle loro strutture organizzative tradizionali. Ma non riescono a vedere bene come passare con decisione sulla nuova logica della crossmedialità. Perché non sanno come monetizzarla correttamente.

In effetti, nel loro dibattersi tra mille difficoltà, stanno privilegiando le logiche di breve (riduzione dei costi) a quelle di lungo termine. In particolare:
1. Nella logica crossmediale, il centro strategico è la valorizzazione del lavoro delle redazioni, intese come alimento delle relazioni tra il pubblico e i poli di aggregazione sociale, economica, politica e culturale della loro comunità; ma gli editori si stanno occupando soltanto di ridurle.
2. Nella logica crossmediale, le tecnologie e i modelli di business sono innovazioni continue, derivano da un’attività precisa di ricerca e sviluppo, e vengono tradotte in applicazioni industriali ma in costante rinnovamento; ma gli editori non sembrano orientati a investire strategicamente in ricerca.
3. Nella logica crossmediale, le priorità sono definite dalla relazione attiva tra gli editori e il pubblico; ma gli editori sembrano invece pensare prioritariamente alle decisioni del mondo pubblicitario (decisioni che tra l’altro tendono a subire, nella maggior parte dei casi, invece di proattivamente provocarle).

Il salto strategico è enorme per gli editori. E bisogna ammettere che per chi guida quelle aziende non è facile districarsi tra i vincoli quotidiani e le difficoltà strutturali per fare emergere una vera visione, da perseguire con forza e continuità. Ma ho l’impressione che la dinamica storica lo richieda urgentemente.

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  • Ottimo intervento soprattutto l’ultimo paragrafo. Mi chiedo quando le aziende capiranno quanto sia fondamentale cambiare e non rimanere ancorati al vecchio modo di comunicare. La fase contingente penso renda sempre più difficile per loro “lasciare il vecchio” per il nuovo, ma è sicuramente spunto di successo per i visionari…
    Gracias Luca.
    Beppe

  • Se continuano così l’unico comparto difendibile sembrerebbe l’education, qui in Italia a differenza di qualche avveduto caso oltreoceano non mi sembra incida granché. Quei dieci indirizzi strategici che riportavi in link sono proprio perspicui, attuarli tutto un altro paio di maniche. La situazione competitiva che menzioni indica oltre la difficoltà operativa anche quella di incertezza sul da farsi, certo dettate da necessità di concentrarsi su problematiche imminenti, se ci sono ci sono. E’ sulla stampa che la frammentazione del pubblico rispecchia la realtà anche se la relazione fiduciaria, fortissima, non è affatto capitalizzata a mio vedere. Non è avventato dire che il prodotto editoriale per chi lo acquista ha un equity altissimo. Anche se paradossalmente, in generale c’è sfiducia nell’informazione. Io credo che ogni lettore viva in sé quell’ossimoro.
    Che gli editori non sappiano qual’è il significato di tale valore ne dubito.
    E’ plausibile che non lo conoscano a fondo dato che si tratterebbe di compredendere il significato di un prodotto che è fatto di significati. Le questioni di business hanno tutt’altre variabili ma è in quella del valore la quadratura del cerchio. Qualche tempo fa l’hai posta in termini di “fair value” nella catena del valore digitale. In effetti gira molto in quel vortice tra valore e il modo corretto per ripartirne costi e benefici. Tutto da fare insomma.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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