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Felicità condizionata. Festival di Trento

Oggi a Trento, il Nobel James Heckman parla di identità. Mario Platero sul Sole lo intervista chiedendogli tra l’altro che cosa pensi dell’economia della felicità. Lui risponde interessato al tema ma sospettoso. Perché, dice, la definizione di felicità è troppo soggettiva. Ma aggiunge che gli appare più importante studiare quali condizioni portino alla felicità. 

In effetti, occorre distinguere tra le conseguenze teoriche dell’accoglimento del concetto di felicità nell’economia e le considerazioni politiche in materia. 
Il primo aspetto è importantissimo. Tenendo conto della felicità, la teoria economica si è arricchita di nuove dimensioni: i valori senza prezzo ma di altissima importanza delle relazioni con le altre persone, dei beni ambientali e dei beni culturali (identità compresa). 
Il secondo aspetto invece va precisato. Non si può fare una politica in favore della felicità, perché la definizione di felicità è troppo soggettiva. Si può però fare una politica che favorisca per ciascuno la ricerca della sua felicità. Come dicevano i padri fondatori degli Stati Uniti. E indagare intorno a quali siano le condizioni che favoriscono la ricerca della felicità nelle persone per poi operare perché si realizzino mi pare un percorso decisivo, possibile e… felice.

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  • Molto interessante. Mi colpisce l’accento sull’inettitudine dell’approccio economista, che sottopone ogni fenomeno ad una categorizzazione strumentale, interrogandosi su come “trattarlo” deterministicamente. Mi colpisce l’ammissione dell’intrattabilità del fenomeno “felicità”, e che per Heckman – chi l’avrebbe mai detto, ormai il piano inclinato obamiano è sempre più ripido – le condizioni perchè si dia coincidono nientemeno (con buona pace del movimento totalmente trasversale italiano) che con la sussidiarietà. Una sussidarietà a geometria variabile, in cui il ruolo del Pubblico è fortissimo, un socialismo reale ben temperato.

  • Mi chiedo se sia possibile riflettere in modo non scisso sulle condizioni della felicità nell’economia e nella politica. Credo sia importante provare ad unire…riunire ciò che il mondo negli ultimi secoli ha diviso.
    Se il Buthan, credo, codifica ed inserisce i parametri della felicità nel calcolo del PIL è fortemente politico ed economico. Creare le condizioni affinchè la ricerca di una propria felicità possa emergere è un tema della polis.
    La mia felicità la posso riconosciere solo io, difficilmente si puo’ assoggettare ad una valutazione esterna degli altri. Forse non esiste una morale oggettiva della felicità..e meno male, ma sicuramente si possono creare le condizioni per favorire una ricerca tutta nostra, tutta soggettiva.
    Cercare la propria felicità diventa una condizione della evoluzione, della ricerca di perfezione dell’uomo, della volontà di superare, seguendo il proprio sentire, le divisioni e le barriere interne. Il contesto ci può solo favorire…abilitare.Sono d’accordissimo..il tutto è bellissimo.

  • Se il terreno del dibattito avviene sui valori, quale è la felicità, economico e politico sono imbricati. Corretto distinguerli per analizzarli. Non caso i modelli di sviluppo che contemperano valori economici, sociali, ambientali rispetto alle esternalità, a livello macro nella politica economica, sono isomorfi a livello microecomomico, nel modello di governace della Corporate Social Responsability. Certo la Stakeholder theory è nata per gestiore le crisi reputazionali e non per conseguire la felicità. Ad oggi però, le condizioni di lavoro, le tutele, il reddito, le conseguenze sul tempo libero sono aspetti che rientrano in entrambe le sfere di politica e economia. Se di condizioni di possibilità si parla, ad un livello alto d’astrazione potrebbero coincidere con una politica al supporto della libertà negativa, togliere gli ostacoli. Anche perché l’uomo sembra molto più concentrato a scongiurare minaccie che a percorrere scopi esileranti.
    Infatti credo che i modelli di ricerca normativa di carattere sistemico, trovino il limite di trascurare l’aspetto dell’utilità individuale attesa, a cui sopperiscono i modelli descrittivi della pscicologia. La satisficer che da Herbert A. Simon in poi prese le mosse della razionalità limitata. Le ricerche dimostrano che il fattore emotività nelle strategie di scelta, prendono in carico più l’aspetto del rammarico che quello della felicità, ovviamente per esser felici. Come dire, se non va male, va bene. Da Kahneman fino agli ultimi Neal J. Roese e Sommerville A. sembra che i ragionamenti ipotetici prospettici, i famosi “SE” controfattuali, mirano alla eglio a un rilassato quieto vivere. Non proprio, ma se venissero smentire sarei contento.
    http://www.psych.uiuc.edu/~roese/research.htm

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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