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I media non rappresentano il paese? Un ragionamento di Scalfari. E un sondaggio. Mostrano due visioni del mondo diverse.

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  • Il ragionamento di Scalfari è pieno di ipocrisia, lui sa benissimo, per storia personale, che la massa amorfa degli italici (20 milioni di analfabeti funzionali e altri 20 milioni a rischio) non sono mai cambiati dal 1921, hanno solo cambiato la bandiera in cui identificarsi per i propri interessi spiccioli, e mai per quelli ideali.
    Fino all’8/9/43 tutti per il PNF, poi tutti per la diarchia PCI-DC (ben consapevoli entrambi che lo status quo di Yalta non poteva cambiare), adesso in massa per il PDL.
    Questo non vuol dire che gli italiani siano culturalmente per la dittatura, liscia, gassata o vera che sia, ma dice solo che gli italici sono ancora, culturalmente ed economicamente, un popolo di morti di fame, appena scesi dall’Albero degli zoccoli, e che, del contadinaccio che è in loro, sfruttano sopratutto le capacità di rapina spicciola e diffusa della cosa pubblica (posti inutili, pensioni senza contribuzione, finanziamenti a pioggia, costosissimi lavori pubblici eterni), ovviamente agevolata da chi prende il loro voto-di-scambio e si prende, in contropartita, la parte più grande del bottino pubblico.
    Quindi è vero che i giornali non rappresentano il paese ma solo i (fintissimi) desiderata della classe giornalistica che, ipocritamente, dimentica che, il posto (ancora il Maestro Olmi), è sempre la cosa più ambita, per il quale qualcuno avrà pure fatto la sua onesta gavetta, ma la maggior parte non è altro che il cascame della politica che si stratifica anche nelle redazioni dei giornali e delle TV.

  • Non è ipocrisia quella di Scalfari, è spirito di differenziazione al pensiero controproducente (ma vero, di correnti ad imprinting delemiano ma omologabili al peccato capitale della sinistra, ovvero che il popolo è stolto, bieco e causa di tutti i mali. Quindi il problema viene dal basso e non dalle poltrone, le teste non si cambiano e chi è fuori e fuori e chi è dentro è dentro, argomento solenne con cui esonerarsi ogni responsabilità, rincorrere metamorfismi di fine ideologia, tutti terreni su cui si gioca con regole e agende dettate da destra. Scalfari quindi va un pò per spirito di contraddizione da quelle campane. Il quadretto degli italiani che hai illustrato è lapalissiamo ma per completezza oltre ai morti di fame ci sono quelli che hanno paura di esser citrulli (che tendono alla scalata sociale come tavola imbastita a destra) e quelli che temono il rammarico anticipato (ora mangiano a sinistra ma se l’orticello si apre cadono nella tavolata dei signorsì). I giornali non possono rappresentare il paese ma i 1500 lettori di Forcella ancora ma non hanno oneri di rappresentanza, o no? La televisione ce l’ha e credo lo faccia al migliore dei modi per mantenere le cose come stanno.

  • Cheppalle ‘ste storie, signori. Quando la sinistra (?) vince le elezioni, allora il popolo italiano ha fatto un passo sulla strada del progresso, il popolo italiano non è fesso, la storia siamo noi, l’Italia con gli occhi aperti nela notte buia, l’Italia che non paura, viva l’Italia. Quando vince la destra (?) allora che schifo, gli italiani sono dei contadini, ladri, bugiardi, magnamagna, emigro in Svizzera, anzi no in Francia, nemmeno, in Spagna, e il familismo amorale, e Forcella e il c* in c*…. , abbasso gli italiani (e anche l’Italia). A parte che, per citare il titolo di un libro molto divertente, “Italiani sono sempre gli altri”, se la sitazione è veramente come la dipingete, allora smettete di preoccuparvi e godetevela. Quanto a Scalfari, se per “sua storia personale” intendete il fatto che era un Littoriale di granitiche convinzioni (come Bocca e tabti altri, peraltro), allora sono d’accordo. E vado a mangiarmi una Romanoff alle fragole.

  • Se uno ha granitiche convinzioni dittatoriali non è che è sia molto credibile quando va avanti con gli anni.
    Non è un vino che migliora con la stagionatura.
    Anzi, col tempo inacidisce e non si può più bere.
    In politica non esiste il pentimento (per altro mai manifestato da questi organici al regime fascista e a quelli organici al regine staliniano), c’è solo il classico trasformismo italico, qualità superlativa pro-sopravvivenza dei contadinacci ripuliti e inurbati.

  • Anch’io venti anni fa credevo che in “principio” fosse un gesto, alzare le mani (sia in senso indessicale che a qualcuno), e poi venisse un suono, la parola (discutere ragionevolmente e con le mani legate perchè malgrado il progresso volevano alzarsi lo stesso tornando all’origine). Si cambia, e a ragion veduta dovrebbe esser sinonimo di credibilità.
    “Credevamo che il mondo si fermasse alla nostra piccola serra. Eravamo le piante costrette a crescere in quel vivaio. Cosa potevamo sapere di quello che c’era fuori”. Così giustifica Scalfari.
    Che la sinistra abbia la sindrome da radical chic e la destra quella di ercolino non mi preoccupa affatto, per onor di luoghi comuni. Poi ogni tanto arriva qualcuno che fortunatamente crede ancora all’edonismo e pensa alla sinistra in chiave esistenzialista. Autolesionista dato che non gode, vero e tutto ratificato e recepito anche da Bruxelles.
    Immagino che questa sinistra sia colma delle proprie elucubrazioni sullo scibile, che la destra sia l’unica erede del pragmatismo a là Peirce, che viene prima il corpo della mente senza notare alcuna contraddizione. Diciamo anche che la destra ha rivalutato la cultura dei sensi, la sinestesia e i banchetti DOP, per non far torto a nessuno. Adelphi anche era di sinistra ma poi si scopre che nel 2007 censurava recensioni scomode sul mito destrorso Heidegger.
    Forse per penuria di intellettuali di destra o per il vizio di schierarsi dei cervelloni sinistri? Alla fine ha ragione Bruno Forte, la Costituzione è opera della pluralità di voci, però se non ci fosse la chiesa c’è Babele, quindi risolto anche il deficit di bilancio intellettuale.

  • Fermi tutti ! L’Adelphi di sinistra ????? Giù le mani dal’Adelphi ! Che l’Adelphi possa essere considerata di sinistra è solo il segno che questa è la sinistra del “ficooooooooooooooo”. La storia della censura su Heidegger non è proprio così. Il povero Volpi ha dovuto tagiare un pezzo del suo commento a “Contributi alla filosofia” perchè i diritti sono in mano al figliastro di Heidegger, che per contratto ha il controllo su quanto viene pubblicato con gli scritti del patrigno. Peraltro, quel che Volpi pensava di Heidegger è notissimo….

  • Non hai colto l’ironia, saprai bene allora che Foà era iscritto al PCI, e malgrado la presa di distanza nel ’56 dalla “metafisica del partito” non ha mai rinnegato certe posizioni politiche.
    Quessta non è ironia però, sono dichiarazioni sue, non rilasciata e pubblicate da Repubblica ma dal Corriere. Tanto per onorare stecchati ideologici interpretativi.
    Questo non significa aver dato vita ad un progetto editoriale di qualità e indipendente. Era questa l’ironia, che certe scelte del passato poi non vanno lette come sudditanza ideologica. La questione della censura era una forzatura mia, l’abbiamo letta tutti ieri com’è andata la storia della lettera a Massarenti.

  • Senza un NON cambia tutto, la frase: “Questo non significa NON aver dato vita ad un progetto editoriale di qualità e indipendente.
    Sennò è un delirio.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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