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Dopo la pubblicità

La pubblicità online è cresciuta molto negli ultimi anni. Può anche continuare a farlo, anche se qualche segno di cedimento si è visto (novembre scorso ha segnato addirittura un lieve arretramento). Di certo, non può rimpiazzare ogni modello di business basato sulla vendita di prodotti e servizi. Non può rimpiazzare tutta la vendita di software, tutta la musica, tutta l’informazione. Anche perché la pubblicità ha un effetto incentivante per la quantità di traffico, non necessariamente per la qualità dell’attenzione che il pubblico dedica ai contenuti. Dopo la mania di rielaborare ogni modello di business in funzione della pubblicità che cosa si può pensare?

Eric Clemons, professore alla Wharton School, sostiene l’idea che si possa ricominciare a pensare alla vendita di prodotti e servizi. Il suo post è da leggere perché in un certo senso propone un ritorno ai fondamentali. E d’altra parte anche la pubblicità online evolve e non sono pochi coloro che ritengono che tenderà a convergere con un’attività di vera e propria “vendita”.

Ma non sarà facile. Se mai si riuscisse a intraprendere la strada della vendità di prodotti e servizi onilne, specialmente nel campo dell’informazione, sarà soltanto attraverso un impegno enorme nella direzione della qualità. E dell’adeguatezza dei prodotti al contesto della rete. Poca paranoia per il copyright e molta attenzione al valore del servizio.

Alcune possibili situazioni favorevoli, appunto nell’informazione, potrebbero stare tra un’offerta di altissima qualità, con un mix di informazioni di valore e oggetti di carta preziosi per design e contenuto, capaci magari di facilitare non solo la pubblicità ma addirittura la vendita dei prodotti promossi (esempio Monocle); oppure un’attività condotta con una tale specchiata attenzione ai valori della trasparenza nel servizio di informazione che le persone saranno disposte a sostenerla volontariamente (esempio super-preliminare ProPublica).

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  • Ogni modello di business è stato rielaborato in funzione della pubblicità e la pubblicità non è mai stata rielaborata in funzione del web e del suo traffico (basta guardare tutte le forme di rimediazione cartacea e televisiva presenti).
    Il vero problema è forse questo. Nessuno è stato in grado di andare oltre. E se fosse impossibile?

  • Se fosse impossibile, tutte le forme di “giornali”, off e online, sarebbero cadaveri ambulanti.

  • Scrivo su un blog che si chiama The Marketer che tradotto letteralmente significa:”chi vende le merci al mercato”. Io credo nel mercato, nel contadino che porta le arancie e i formaggi nella via del mercato, appunto. Il contadino che fa “marketing” strillando che la sua roba è la migliore. La pubblicità è per me un evoluzione patologica del semplice cartello che recitava:”qui dietro l’angolo pizzeria fratelli napoletani, pizze ottime ed economiche”.
    Internet ci riporterà al mercato dove il contadino se vuole venderci le pere ne taglierà un pezzo e ce le farà assaggiare e nel caso del cliente di fiducia ci venderà la merce migliore.

  • Non vedo l’ora che riescano a offrire il pezzo di pera via Internet… spero solo che alla fine non sia come il sesso online…

  • Sasha LOL 😉 Ovviamente erano tutte metafore, bucoliche ma metafore. Il concetto è che l’interazione diretta tra consumatore e venditore con internet è più possibile rispetto all’era della televisione. Un brand può chiedere aiuto ai cui consumatori tramite la co-creazione. Far assaggiare il pezzo di pera è facile e lo fa già iTunes quando pre ascolti il brano che vuoi comprare. Non c’è pubblcità che tenga o ti piace o non ti piace.
    Comunque anche su Techcrunch si parla del fallimento della pubblicità con l’avvento di internet http://www.techcrunch.com/2009/03/22/why-advertising-is-failing-on-the-internet/

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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