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Babele di pensieri su internet

Una lezione per un master di politica internazionale, a Sciences Po. Tanti studenti di diverse nazionalità. Si discute di libertà di espressione e controllo di internet. Le idee degli studenti sono diverse come in una vera e propria babele.

Eccone un riassunto preceduto dal paese di origine:
Cina. La discussione online libera le opinioni e fa emergere i problemi. E quindi ci aiuta a migliorare. Ma occorre che tutti siano costruttivi. Coloro che intervengono solo per distruggere non sono d’aiuto a nessuno
Corea del Sud. Da noi tutti sono connessi e tutti o quasi partecipano. Ci sono giornali dei cittadini e motori di ricerca collaborativi che vanno meglio dei servizi commerciali. Ma succedono cose strane. Qualche tempo fa, c’era una signora in metropolitana con il suo cane; il cane ha fatto la cacca e la signora non ha pulito; un tizio ha visto la scena, ha fatto una foto alla signora e al cane e ha pubblicato tutto sul blog; la signora è diventata l’oggetto di una vera e propria campagna di stampa contro la maleducazione…
Singapore. Da noi c’è una sola televisione e un solo giornale. Ma vediamo tutto quello che si trasmette all’estero col satellite e possiamo leggere tutto online. Anche da noi tutti sono connessi. È una grande liberazione. Ed è molto interessante.
Colombia. Da noi i media, i giornali, la tv, sono molto critici con il potere politico. Troppo. Ogni cosa è discussa. Non c’è nessun orgoglio nazionale. Almeno internet dovrebbe contribuire a renderci una società più orgogliosa di se stessa. Ma è difficile.
Argentina. Da noi tutti i media sono molto influenzati dal potere. Internet è una possibilità importante per migliorare la libertà di espressione e l’informazione.
La democrazia ha bisogno di un sistema dell’informazione di qualità che consenta ai cittadini di decidere in modo consapevole e informato. La repubblica ha bisogno che si salvaguardi il bene comune, il che talvolta può significare occuparsi di salvaguardare il consenso sulle regole e i motivi di unità di fondo anche culturale della popolazione. La rete è un’enorme opportunità. Ma per riflettere sulle sue conseguenze, senza preconcetti, occorre tener presente la diversità delle esperienze che gli internettari fanno nei vari sistemi politici e sociali. Non tutti i contesti sono come quello americano o italiano. Lo stesso Joi Ito, per esempio, coltiva il metodo del dubbio, da pragmatico esploratore del possibile: secondo lui, c’è da riflettere su quali sarebbero le conseguenze di una maggiore libertà di espressione su internet nei paesi del Medio Oriente. In alcuni, forse, si favorirebbe la democrazia, in altri, probabilmente la violenza.
Un fatto è certo. In un contesto come quello italiano, internet è una grande opportunità di modernizzazione. Non è una certezza, va presa con pragmatismo e senza ideologia. Ma l’opportunità, per un paese come l’Italia, va salvaguardata perché molte persone la possano cogliere. E una posizione chiara e netta a favore della libertà di espressione online, spesso invece messa in discussione da varie iniziative di legge da parte della precedente e soprattutto dell’attuale maggioranza, è necessaria. Posto questo, non possiamo non renderci conto che sono benvenute tutte le iniziative che favoriscono la crescita di una discussione matura e di un’informazione di buona qualità. Perché i cittadini italiani non siano destinati a sentirsi ospiti in un paese che si imbarbarisce.

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  • Questo mi ricorda un articolo di qualche tempo fa sulla censura cinese della Rete. L’articolista diceva che, oltre a decine di migliaia di censori ufficiali, c’erano altre migliaia di persone infiltrate nella Rete per sostenere il punto di vista del governo.
    Cioè l’articolista non concepiva assolutamente che vi potessero essere dei cinesi soddisfatti del regime e che lo sostenessero volontariamente. L’idea implicita era quella di un governo totalitario da una parte e un popolo oppresso e monoliticamente contrario al governo di Pechino.
    Ora, considerato che questo regime ha portato fuori dalla povertà alcune centinaia di milioni di cinesi e fatto della Cina uno dei pilastri dell’economia mondiale non mi sembra tanto incredibile che qualche cinese lo sostenga (considerato poi che quei cinesi la cui posizione NON è migliorata sono troppo poveri per permettersi di frequentare la Rete…).
    Insomma, come giustamente lei fa notare, le situazioni asiatiche non si riducono a semplici stereotipi moralistici…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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